06-09-2017 ore 18:59 | Cultura - Crema in litteris
di Nicolò Premi

Crema in litteris. Un misterioso crocifisso negli Schizzi sull’Italia di John Symonds

Letterato, scrittore e poeta, fu uno dei più rappresentativi esponenti del decadentismo inglese del XIX secolo. Oggi ricordiamo John Addington Symonds (1840-1893) soprattutto come studioso del Rinascimento italiano (scrisse in particolare una Storia del Rinascimento italiano in sette volumi, 1875-1876) ma anche come uno dei primi sostenitori e difensori dei costumi omosessuali con studi come A Problem in Greek Ethics (1873) sul tema della pederastia nel mondo greco, dove compare una delle prime attestazioni del termine ‘omosessualità’. Fu anche autore di diverse poesie di tematica omoerotica.

 

I viaggi in Europa
Ciò di cui intendiamo occuparci qui, nondimeno, sono i suoi scritti di viaggio. Dopo aver studiato a Oxford, Symonds compì numerosi viaggi in Europa e soggiornò a lungo soprattutto nei paesi del Mediterraneo (Italia e Grecia) dove trasse ispirazione per i suoi studi rinascimentali e sul mondo greco. Dal 1874 al 1884 pubblicò in particolare una serie di Sketches in Italy (“Schizzi sull’Italia”) in cui diede conto delle sue impressioni di viaggio su vari luoghi della penisola. Tra questi “schizzi”, che sono dei veri e propri bozzetti pittorici tratteggiati con le parole, troviamo poetiche descrizioni del paesaggio alpino, il racconto di una notte d’inverno nel villaggio svizzero di Davos dove dal 1877 lo scrittore si era trasferito stabilmente per curarsi dalla tisi, le sue impressioni su molte città italiane tra cui Como, Bergamo, Venezia, Parma, Rimini, Ravenna, Orvieto, Perugia, Siena, Palermo, Siracusa. Tutti i suoi scritti di viaggio, come rivela lo stesso Symonds in una delle sue prefazioni, sono destinati “to the use of travellers rather than of students”, ad uso dei viaggiatori piuttosto che degli studenti. In effetti nei suoi scritti Symonds si sente libero di descrivere tutti i luoghi che visita in modo personale e romantico, spesso richiamando alla memoria dei suoi lettori, in perfetto stile decadente, opere d’arte o di letteratura a cui paragonare i paesaggi e gli scenari che gli si aprono davanti.

 

Le pagine cremasche
Tra i suoi resoconti di viaggio il letterato ha voluto annoverare anche alcune bellissime pagine dedicate a Crema. Purtroppo non sappiamo l’anno esatto della sua visita cremasca perché il racconto non riporta riferimenti cronologici. Certo è però che Symonds racconta di avere incontrato e parlato con un certo signor Folcioni che sarà forse da identificare proprio con il Luigi Folcioni dell’omonimo istituto musicale, morto nel 1905 e grande filantropo della nostra città (la scuola di musica eponima fu fondata grazie a un suo ingente lascito testamentario). Il capitolo degli Schizzi dedicato a Crema s’intitola Crema and the Crucifix e racconta, assumendo toni da romanzo gotico, di un misterioso crocifisso che venne mostrato a Symonds da Folcioni durante la sua visita cremasca. Abbiamo scelto di dividere il bel racconto dello scrittore inglese in tre parti che saranno pubblicate con cadenza regolare nella rubrica Crema in litteris, come in un romanzo d’appendice ottocentesco. Si tratta della prima traduzione in italiano dell’opera di Symonds. In questa prima parte, lo scrittore esordisce con una descrizione del paesaggio cremasco a settembre nel periodo in cui in città si praticava la pigiatura dell’uva. Come tipico del suo stile, lo scrittore paragona ironicamente le scene della vendemmia cremasca non solo a un famoso dipinto che ritrae le feste romane in onore di Bacco di sir Lawrence Alma-Tadema, pittore dell’età vittoriana famoso per i suoi ritratti di scene di vita nell’antichità, ma richiama addirittura, con evidente sarcasmo, le lenee ateniesi, ovvero le feste greche dedicate a Dioniso. Di seguito il testo del primo capitolo del racconto (traduzione di Nicolò Premi).

 

Crema e il crocifisso
In pochi visitano Crema. È una piccola città di campagna della Lombardia, tra Cremona e Treviglio, priva di memorie storiche ma con ricordi molto annebbiati che risalgono ai giorni della dinastia Visconti. Da ogni lato, intorno alle mura della città, sorgono ridenti vigneti e ricchi campi, dove gli olmi sono sposati ai gelsi da lunghi festoni di fogliame che nascondono uve viola, dove i girasoli abbassano le loro pesanti teste d’oro tra gli alti gambi del miglio e gigantesco mais, e qua e là un raccolto di riso matura nel grasso terriccio paludoso. Al tempo della vendemmia i carri, trainati dai loro buoi bianchi, giungono la sera scricchiolanti per la città, sormontati da grappoli blu. Scivolano giù per le lunghe strade diritte, tra i filari di pioppi; e sulle panche sotto la piramide di frutta si trovano i contadini macchiati di fecce di vino. Lontano da quel “mare senza onde” della Lombardia, che è stato il campo di battaglia di innumerevoli generazioni, sorgono le fioche Alpi grigie, o, altrimenti, cupole perlacee di nuvole di tuono in brillanti masse sopra una qualche torre solitaria. Sono questi sfondi, pieni di pace, suggestivi di distanza quasi infinita e nobilitati con colori di incomparabile profondità e ampiezza, che amarono i pittori veneziani. Nessun paesaggio in Europa è più meraviglioso di questo; tre volte meraviglioso nella vastità dei suoi cieli arcuati, nella quiete della sua tavolata pianeggiante e nel baluardo delle enormi montagne crestate, erette lontano come bastioni contro il cielo settentrionale. La cittadina è tutta viva in questo periodo di settembre. Ad ogni angolo della strada, sotto i bianchi pioppi fruscianti e lo spesso fogliame, alle porte dei palazzi e nei cortili delle locande, gli uomini, nudi dalle cosce in giù, calpestano il mosto rosso in tinozze e barili; mentre i loro buoi dagli occhi miti giacciono sotto di loro sulla strada, ruminando pacificamente tra un viaggio verso la vigna e l’altro. Non si può pensare che la scena della Vendemmia Romana di Alma Tadema, o quello che teneramente dipingiamo con la nostra fantasia delle Lenee ateniesi, si ripeta nelle strade di Crema. Questa moderna pigiatura dell’uva è una storia molto prosaica. La città trasuda un odore acuto di vecchie botti e bucce d’uva schiacciata, e gli uomini e le donne al lavoro non hanno alcuna somiglianza con Bacco e il suo seguito. Eppure, anche così com’è, la vendemmia lombarda, sotto le cascate di luce solare e un cielo blu puro, è bella; e chi volesse di buon grado prendere familiarità con Crema dovrebbe, se possibile, programmare la sua entrata nel centro storico in qualche pomeriggio ancora dorato d’autunno. Sarà allora, se mai, che imparerà ad amare le raggianti pareti di mattoni delle sue chiese e i pittoreschi trafori di terracotta che costituiscono il suo principale fascino artistico.

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