15-08-2022 ore 20:24 | Sport - Atletica
di Gloria Giavaldi

L'atleta paralimpica Luisani cerca guide nel Cremasco: 'corro al buio e mi sento libera'

Il ciclismo, il paratriathlon, l'atletica. Lo sport per Maria Cristina Luisani è uno stile di vita. “Per me è un lavoro. Mi alleno tutti i giorni: in pista o a casa”. Da sola o con la guida. Il buio? “Non è un limite, basta imparare a fidarsi ciecamente. In pista faccio conto su una guida, da quando mi alleno con la società Icaro di Brescia”. Nella quotidianità, “ho dovuto imparare a misurarmi con il buio, ma questo non vuol dire che non sia autonoma, che non possa fare cose. Che non possa vivere. Un attimo per volta.”. Quando la sindrome di Usher si è palesata, Maria Cristina aveva 42 anni e due figli piccoli. “Non è stato semplice, ma ho deciso di non fermarmi. Di non farmi abbattere. Di sperimentare nuove dimensioni di vita. Quando il buio si è fatto spazio nella mia quotidianità, ho colto l'occasione per affinare altri sensi: il tatto, l'olfatto”. E, anche se non rientra nei cinque sensi, “la fiducia”. In se stessa e negli altri. “Il buio non mi ha cambiata: io resto sempre io”. Ha cambiato, piuttosto, la percezione che gli altri avevano di lei: “la perdita della vista è stata graduale, all'inizio inciampavo. La retinite pigmentosa fa così. Le persone, invece, sono sparite rapidamente. Ero un po' confusa e spaventata, ma avevo due figli da crescere. Ero sempre la loro mamma, la stessa”.

 

Un nuovo equilibrio

“Forse il buio mi ha insegnato a riflettere di più. A misurare i rischi. A fare i conti con la paura”. Ad accettarla. E poi a superarla. Con l'agilità di chi ha sempre vissuto di sport. “La sindrome di Usher non aveva il diritto di portarmi via la passione”. Poco dopo la diagnosi: “ho comprato un tandem e un tapisroulant, una bici da spinning e vari attrezzi. E ho continuato, un allenamento dopo l'altro”. I successi d'oro appesi al collo non si contano: nel ciclismo, nel paratriathlon e ora anche nell'atletica. “Lo sport oggi mi aiuta a restare in equilibrio: fa bene al corpo e alla mente. Mi fa sentire realizzata”. In pista, Maria Cristina respira aria di libertà: “il primo giorno è stato un disastro. Non riuscivo ad orientarmi. Ora mi sembra di volare, mi sento sicura e mi fido di chi mi sta accanto”. La guida “non è un semplice sostegno, ma un compagno con cui si crea empatia. La fiducia è elemento indispensabile”. Fare la guida “è un'opportunità per entrare in relazione, trasmettere sensazioni e recepirne dall'altro. È un'occasione di arricchimento”. Tra le due persone il legame è “sancito” da un cordino, ma prima ancora “è una connessione tra anime, una condivisione di momenti”. L'equilibrio “è sottile: tra leggerezza e sicurezza, fiducia e umanità, professionalità e passione”.

 

Guidare e essere guidati

L'obiettivo di Cristina è di portare tutto questo anche a Crema: “la verità è che in città la disabilità fa ancora paura. Si è abituati a concepire il mondo della disabilità come un qualcosa di distante, che non ci riguarda. Che riguarda gli altri. Avverto una certa resistenza: quello che chiedo ai cremaschi è di buttarsi in questa esperienza, di provare a guidare per accorgersi poi che è bellissimo essere guidati in un percorso alla scoperta della diversità. Perché, in fondo, siamo tutti diversi, ma possiamo tenerci la mano. Per conoscerci, davvero. Oltre il pregiudizio. Al di là della paura”. Una prima esperienza in pista verrà organizzata a Crema, precisamente ad Ombriano, nel mese di ottobre: “spiegheremo concretamente cosa facciamo e poi correremo insieme. Mi auguro di poter incontrare tanti cremaschi”. È un modo per iniziare a camminare (tanto in senso materiale, quanto in senso figurato) insieme. L'inclusione si fa un passo avanti all'altro. Non senza paura, ma con determinazione.

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