09-01-2020 ore 15:45 | Sport - Associazioni
di Gloria Giavaldi

Basket. I campioni del mondo con Sindrome di Down insegnano a vincere e abbracciarsi

Di certe vette si ricorda la fatica ed il respiro affannoso. Di altre, le emozioni che mozzano il fiato per avercela fatta. Per essere arrivati sul tetto del mondo con il Tricolore tra le mani. Anche a distanza di poco più di un mese. Era il primo dicembre del 2019 quando gli atleti della Nazionale Italiana di basket con Sindrome di Down conquistavano per la seconda volta il titolo mondiale, battendo in casa il Portogallo per 22 a 36.

 

La fotografia di un successo

La fotografia della loro vittoria, che in questi giorni sta facendo nuovamente il giro del web, racconta una storia di sorrisi e lacrime, sudore e time out, fatica e trionfo. Si vede una coppa che raggiunge l’azzurro del cielo. Le emozioni si possono toccare. Gli atleti faticano a stare in posa per la foto di rito, a tenere a bada i sogni. A fermare gambe e braccia sempre pronte a fare un nuovo canestro oltre le barriere. Ma poi lo fanno, si fermano, si abbracciano, sorridono. Qualcuno scatta. E dà vita all’immagine di un successo di sport e persone, di storie e paure, di routine ed imprevisti.

 

Il baskin ad Offanengo

Dal Portogallo all’Italia, da Guimaraes ad Offanengo. Cambia il posto, ma non i sentimenti. Anche al PalaCoim, dove ogni sabato pomeriggio si allena la squadra dei Leoni, l’entusiasmo è nell’aria. I Leoni non praticano basket, ma baskin, una disciplina integrata che prevede il coinvolgimento in campo di atleti con disabilità intellettive e normodotati, e sono da poco iscritti al campionato Uisp (Unione Italiana Sport per Tutti). “I normodotati diventano per le persone con disabilità un vero e proprio punto di riferimento dentro e fuori dal campo” spiega il presidente Roberto Capetti. “Sull’integrazione – continua – si possono spendere tante parole. Noi in campo la vediamo negli abbracci spontanei, nei sorrisi per un successo sportivo condiviso, nell’agonismo che vive in ciascun atleta. La tocchiamo con mano ogni settimana, perché lo sport regala emozioni vere”. A tutti. “La nostra squadra è nata nel 2013 dalla brillante intuizione di un gruppo di amici. All’inizio abbiamo dovuto superare alcuni ostacoli, rappresentati soprattutto dalla vergogna dei genitori di mostrare i propri figli. Ma li abbiamo superati, a suon di canestri, sport e amicizia”.

 

Sentirsi parte di un gruppo

Oggi, infatti, tutto è cambiato. “Gabriele non ha il senso del tempo, ma ricorda perfettamente tutti i suoi impegni sportivi e, quando non li onora, si altera” spiega mamma Rosalia Grasso. Gabriele, che deve fare i conti tutti i giorni con la Sindrome di Down, in campo trova, prima di tutto, degli amici. “Per i nostri ragazzi le attività sportive sono un’occasione di sfogo e consentono loro di sentirsi parte di un gruppo. A noi genitori, invece, viene data l’occasione di conoscere esperienze di vita simili”. A tutti è concessa l’opportunità di trionfare. Sempre. “Che si vinca o che si perda sul campo, noi vinciamo sempre, perché l’obiettivo è divertirsi” ammette Rosalia. E, per festeggiare, i genitori hanno creato un “tempo” dedicato. “Insieme ad altre mamme, ho istituito il terzo tempo, ossia una sorta di rinfresco al termine di ogni partita, un’occasione per stare insieme e festeggiare”. Perché, in fondo, le vittorie quotidiane sono quelle che contano di più.

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