28-05-2021 ore 20:27 | Rubriche - Costume e società
di Gloria Giavaldi

Lorenzo Bulloni dopo l'incidente: 'lo sport, la luce in fondo al tunnel: oggi è la mia vita'

Stringe la medaglia di bronzo tra le mani insieme ai suoi compagni di squadra. Il volto è perplesso. L'entusiasmo si avverte, al pari dell'amaro in bocca: “bella esperienza, ma si poteva far meglio”. Lorenzo Bulloni, calciatore cremasco del Vicenza calcio amputati, è tornato pochi giorni fa dalla Turchia, dove si è disputata la Champions. “Abbiamo giocato contro le migliori squadre d'Europa e siamo arrivati terzi. Non male, ma vincere è più bello” sorride. “Ciò che resta di questa esperienza è sicuramente la consapevolezza di quanta strada resti da fare in Italia sul versante della disabilità, tanto per l'abbattimento delle barriere architettoniche, quanto dal punto di vista culturale. La Turchia in questo caso insegna a guardare i calciatori amputati o con altre disabilità in modo diverso. Ho respirato della normalità che qui ancora non esiste. Là i calciatori amputati vengono considerati dei professionisti, il campionato è composto da 30 squadre. Qui il movimento è ancora considerato di nicchia: vi sono solo quattro squadre iscritte al campionato”.

 

'La mia luce in fondo al tunnel'

Per adesso. “Con il presidente del Crema, Enrico Zucchi, stiamo ipotizzando di siglare un gemellaggio con il Vicenza calcio per costituire una squadra di calcio amputati anche in città. Al momento è solo un'intenzione, perché bisogna organizzarsi, però mi piacerebbe poter aiutare il progetto del calcio amputati a crescere”. E a diffondere l'idea che non è mai finita. “Me lo ha insegnato lo sport. Dopo l'incidente pensavo di dover rinunciare alla pratica sportiva. Di dover rivedere i programmi. La realtà del Vicenza calcio mi ha fatto cambiare idea”. Allenamento dopo allenamento “ho capito che non era finita: lo sport è stato la mia luce in fondo al tunnel. Da lì ho deciso di dedicarmi interamente alla pratica sportiva”. Su una sedia a rotelle o con le stampelle tra le mani. “Si può fare. Voglio iscrivermi a scienze motorie: il percorso è fattibile, nonostante la disabilità fisica”. Viene cucito a misura, per valorizzare le abilità di tutti. “Si può fare” ripete “a modo proprio”. “Lo voglio dire a tutti i ragazzi e le ragazze che spesso accantonano il sogno di lavorare nel mondo dello sport per una disabilità: lo sport è per tutti. Davvero”.

 

Lo sport è vita

Ché “alcune emozioni che solo l'attività sportiva regala non possono essere una prerogativa di pochi”. Sul campo si stringono legami, si costruiscono obiettivi e si realizzano sogni, “ma prima di tutto si incontrano persone con cui condividere momenti magici”. Su tutti “l'inno della Champions che avevo sentito solo in televisione o la preziosa amicizia con un compagno di squadra cremonese che in meno di un anno è diventato importante per me”. Lo sport è uno spaccato importante di vita. “Anzi, oggi è la mia vita: fa vivere sensazioni che è impossibile provare in una vita priva di attività sportiva”. Di allenamenti da affrontare, successi da pianificare e raggiungere, dietro al pallone. “Anche se – inizia a ridere con gli occhi - corro poco”. Recupera terreno con la mente. “Punto tutto sull'intelligenza tattica. In campo sono un gran comunicatore. Anzi, un gran rompiscatole: pretendo tanto dai miei compagni”.

 

Dalla panchina

Chiede ciò che allo sport ha sempre dato. “Sono cresciuto facendo sport. Ho sempre amato il calcio. Ho fatto anche nuoto, ma solo perché sono stato obbligato dai miei genitori”. Oggi alimenta la passione anche dalla panchina. “Sono l'allenatore dello Sporting Chieve. Punto a migliorare e a vincere”. Non certo solo a partecipare. “Cerco di dare il meglio e lo pretendo anche dalle persone che alleno. Spero presto di ottenere il patentino, intanto non mi lascio sfuggire le opportunità e seguo i preziosi consigli del mio ex allenatore”.

 

Andare avanti

Non resta fermo a guardare. Avanza. “Oggi non riuscirei a rivedermi con due gambe. Non mi focalizzo su ciò che manca, preferisco prendermi cura di ciò che resta. Non posso più tornare indietro, ma posso andare avanti con il sorriso. Dell'incidente, avvenuto tre anni fa, ho pochi ricordi. Dopo un mese di coma, le persone vicine mi ripetevano tutti i giorni ciò che era successo: non avevo più una gamba, dovevo abituarmi all'idea”. Alla differenza. “In realtà, credo mi abbia salvato l'essere rimasto me stesso, anche grazie alla loro vicinanza”. Nonostante il dolore. “3500 pagine di cartella clinica non mentono: è stata dura”. Ma ce l'ha fatta. “I primi mesi, quando le persone mi fissavano, provavo fastidio. Ora no, guardo dritto davanti a me: ho ancora tanta strada da fare. Voglio andare avanti”.

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