23-01-2020 ore 20:42 | Rubriche - Costume e società
di Gloria Giavaldi

Silenzio ed immagini per aprirsi al mondo. Nicolussi: “L’autismo non è una malattia”

Gioca con le immagini, costruisce pensieri, traduce emozioni. Ambra Nicolussi, terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, dà forma alla felicità di tutti affidandosi ai colori, ai gesti e al profondo desiderio di ascoltare. “Ho trascorso gran parte della mia carriera professionale ad aiutare le persone con disturbi dello spettro autistico a costruire una cassetta degli attrezzi che potesse aiutarle a vivere la quotidianità”. In un mondo che continua a camminare senza sosta, incapace di osservare, capire, reagire.

 

Parole e immagini

“Le persone con disturbi dello spettro autistico funzionano diversamente da noi. A volte non comunicano verbalmente e spesso i loro processi mentali sono disturbati da una serie di percezioni sensoriali differenti. Le immagini, invece, consentono loro di non perdersi, di selezionare meglio le informazioni e di capire fino in fondo”. Ogni parola per loro deve essere costruita con l’aiuto delle immagini, attraverso un processo lungo e faticoso. Così come lungo e faticoso è il tentativo di sradicare modelli, etichette, pregiudizi. “Questo lavoro mi ha insegnato ad accettare l’altro senza giudicare, ad ascoltare il silenzio, a non dare nulla per scontato”.

 

L’autismo non è una malattia”

Sul tavolo, la sua cassetta degli attrezzi è leggera, ma colma di passione, studio e meraviglia. “Per migliorare la vita delle persone appartenenti allo spettro autistico basterebbe non considerarle come malate, ma come uomini e donne che funzionano in un modo differente. L’autismo non è una malattia, ma una condizione, che, in quanto tale, andrebbe osservata, capita e rispettata, non cambiata od adeguata alle nostre convenzioni”. Ovunque, anche in mondo che, ad oggi, non è pienamente consapevole. “Il mio lavoro non può bastare a rendere migliore la vita di queste persone”. Servirebbe uno sforzo corale per accettarsi ed accettare la diversità. “Le famiglie di questi bambini e ragazzi spesso sono isolate, avvertono la diffidenza della comunità nella quale vivono e preferiscono rinchiudersi, limitando rapporti, esperienze ed emozioni”.

 

Passi a casa?”

Casa è dove abitano amore e comprensione, nonostante il silenzio assordante, le difficoltà e gli imprevisti che generano tensione. Da qui tutto deve ripartire. “La famiglia ha un ruolo chiave nella determinazione del progetto di vita del bambino. La routine di una persona con disabilità è serrata: ci sono le terapie, la scuola, lo sport. Quando tutto questo salta, salta uno schema, che va riorganizzato e spiegato a tutti”. Anche attraverso l’aiuto di professionisti. “Con l’associazione Mai Stati Sulla Luna ho ideato Passi a casa? un progetto individualizzato condiviso con la famiglia ed il curante, che si svolge nel contesto privato del bambino, accompagnato dalla presenza del genitore, per consolidare competenze ed apprenderne di nuove, imparando anche a far fronte agli imprevisti della vita”. Ad oggi, sono 12 le famiglie che hanno aderito alla proposta dell’associazione presieduta da Beatrice Schacher, che ha introdotto un modello di intervento innovativo, conforme alle linee guida in materia che richiedono di riportare la famiglia al centro dell’attività ma insostenibile dal Sistema Sanitario Nazionale per i costi elevati che comporta. “I benefici che questa attività porta nella vita delle persone sono evidenti. Speriamo di poterla proseguire al meglio, anche grazie al sostegno de I Bambini delle Fate”.

 

Tra metodo e esperienza

Le esigenze alle quali questo progetto risponde sono diverse. Perché diverse sono le persone e diversa è la loro quotidianità. Ma ognuno deve poter rivendicare il diritto alla felicità. Alla propria felicità. “Quando ero alle mie prime esperienze lavorative, amavo il metodo di lavoro, mi dava sicurezza. Poi ho capito che, in realtà, le indicazioni metodologiche non sono altro che degli strumenti per perseguire un unico fine: quello di migliorare la vita delle persone. E le persone sono diverse, tutte. Dunque ho scelto di fare il meglio per loro, al di là di etichette e nomi”. Del resto, Ambra ha a che fare con la vita, il dolore, il coraggio, la disperazione. E i sogni, che non dovrebbero mai essere calpestati, giudicati, repressi, uccisi. “In questi anni, ho imparato ad accogliere la ricchezza che la diversità emana e che spero possa contagiare un po’ anche il mondo”.

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