21-12-2020 ore 20:30 | Rubriche - Medicina e salute
di Andrea Galvani

'Se non incontra le persone nelle case dove vivono, come fa un medico a capire chi sono'

L’ambulatorio medico è tradizionalmente considerato un porto sicuro. Un luogo d’approdo. Per tutti, in particolare per le persone anziane. Offre un ristoro e garantisce ascolto, incontro e cura. Si instaura un rapporto profondo, esclusivo. Al medico si può raccontare tutto, anche ciò che è nascosto agli occhi di tutti gli altri. Visto da qui l’ospedale è lontano. L’ambulatorio viene vissuto in rispettoso silenzio, al massimo sottovoce. È scandito dal ‘buonasera’ di chi entra per ultimo e seguito dal sospiro di chi si chiude la porta alle spalle una volta che la visita è finita. In pieno centro storico, in una delle vie più caratteristiche di Crema, lo studio di Alessandra Della Frera mantiene tutte le caratteristiche dell’ambiente familiare.

 

La presa in cura

Come sua consuetudine, con la quantità di voce che la timidezza ritiene necessaria, racconta che “la prima ondata è stata un fulmine a ciel sereno”. A fine settimana gli ambulatori erano pieni, “perché era periodo di influenza; due giorni dopo, il lunedì non c’era più nessuno”. I primi casi “sono stati subito gravissimi. Seguivo 16, 17 persone a casa. Da un momento all’altra sembrava che tutto andasse bene, poi di punto in bianco la persona peggiorava e bisognava ospedalizzarla”. Rivendica con forza quanto fatto dai medici di base: “spesso si sente dire che non facciamo niente. Credo che il nostro lavoro sia stato sminuito”. Non si limita alla visita a casa. Non si ferma al paziente, perché “di fatto abbiamo preso in cura di tutta la famiglia”. Con tutte le preoccupazioni. Con tutte le paure. Ogni cosa in una bolla soffocante “di incertezza”, senza sapere quale fosse la soluzione migliore.

 

La responsabilità e l’incontro

La prima fase ha portato con sé grandi energie: poi l’adrenalina è diminuita, i mesi sono trascorsi e nulla è cambiato. Anzi. "Quello che è successo fa capire che manca una visione. Doveva essere uno scossone, uno schiaffo in faccia. Far capire che bisognava cambiare subito”. Dopo l’estate è arrivato l’autunno e siamo nuovamente alle porte dell’inverno. È quasi passato un anno dai primi allarmi sul numero ‘eccessivo’ delle polmoniti. Ormai la lezione avrebbe dovuto essere chiara. Avrebbe: “ho dovuto rimandare cinque volte gli appuntamenti per i vaccini. E me ne sono arrivati pochissimi”. Ed ora? Il punto di svolta è la responsabilità, l’evoluzione. La volontà di ricucire gli strappi, di andare incontro a chi soffre. Il piacere di compiere il proprio dovere. Fino alla fine. Del resto: “Se non entri nelle case, se non incontri le persone dove vivono, non puoi capire chi sono”.

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