18-05-2020 ore 20:40 | Rubriche - Costume e società
di Gloria Giavaldi

Crema, online la Skarrozzata 2020: le storie di vita che ogni giorno superano le barriere

Le buone abitudini resistono al Covid. Quest’anno la Skarrozzata, il tradizionale evento organizzato dal Comitato zero barriere con il patrocinio del Comune di Crema e di Anmic (Associazione nazionale mutilati e invalidi civili) al fine di sensibilizzare sul tema dell’abbattimento delle barriere architettoniche e mentali, si è fatta social. Nel pomeriggio di sabato 16 maggio sui pregiudizi, le paure e gli ostacoli hanno vinto le storie. Di vita, di condivisione, di coraggio e di sport. A raccontarle dal suo profilo Facebook, il vicesindaco l’assessore al Welfare del Comune di Crema, Michele Gennuso: “Quello con la Skarrozzata è ormai un appuntamento tradizionale, che, data la situazione, abbiamo trasformato in virtuale. Oggi vogliamo invadere i social e mantenere alta l’attenzione su un tema importantissimo”.

 

Anffas e Progetto di vita

Sono mutati i mezzi, ma non le intenzioni. Affidandosi alle parole Gennuso ha scavato nelle vite altrui e scoperto emozioni. “Ho sempre cercato di crescere Chiara favorendone l’inserimento nel contesto sociale”. Il sorriso di Giusy Brera (nella foto accanto), mamma di Chiara e componente del consiglio associativo di Anffas Onlus Crema nasconde la fatica. “Non è stato sempre facile. Le difficoltà più grandi si sono palesate sul finire delle scuole superiori, quando la preoccupazione per il futuro di mia figlia si faceva sempre più viva”. L’obiettivo principale è incrementare l’autonomia. Un obiettivo condiviso anche dall’ultima frontiera dell’associazione: Io abito, il progetto di co-housing rivolto a cinque persone adulte con disabilità diverse. “Io abito – spiega la pedagogista Marta Lazzari (nella foto accanto) – si inserisce perfettamente nella filosofia di Anffas, da sempre impegnata nell’abbattimento di pregiudizi e stereotipi ancora troppo diffusi in tema di disabilità. È importante che ciascuno possa avere l’opportunità di ripensare il proprio progetto di vita”. Un po’ come un vestito su misura, creato con il desiderio di valorizzare le peculiarità di ognuno. “La realizzazione del progetto di vita richiede l’impegno di tutti gli attori coinvolti nel percorso delle persone con disabilità. È una sfida per tutti, affrontata con approccio multidisciplinare”. Anche al tempo del Covid: “Le attività non si sono mai fermate, seppur svolte in modalità smart. Ora non vediamo l’ora di recuperare, almeno in parte, la normalità”.

 

Overlimits: sport esperienza di relazione

Di certo, continueranno a rincorrerla. Al pari degli atleti di Overlimits, che vorrebbero tornare a correre sul serio. “Le nostre proposte – spiega lo psicologo Angelo Suardi – sono state bloccate dalla pandemia. Dal 4 maggio abbiamo ripreso qualche attività individuale, ma non è la stessa cosa”. Non si fa fatica a crederlo. Le foto che scorrono sul computer raccontano una passione giocata sul campo, in vasca o sulle piste d’atletica, tra i sorrisi, gli abbracci, gli incontri, l’agonismo, le mani strette e mai abbandonate. “Lo sport è, prima di tutto, un’esperienza di relazione. Consente di conoscere la persona e di non fermarsi ai suoi limiti”. Così nascono rapporti importanti, fatti di lealtà e sostegno reciproco, come quello che si genera tra persone con disabilità ed atleti partner. “L’atleta partner sceglie di mettersi in gioco, conosce la persona con disabilità nel profondo e insieme formano una squadra”. Questo è il miracolo dello sport: “Educa alla resistenza fisica e psicologica, consente di scoprire limiti e risorse, indipendentemente dall’etichetta che viene attribuita alla persona, distoglie l’attenzione dai deficit”. Valorizza gli atleti. Tutti. “Proponiamo attività diverse per tipologia e difficoltà perché vogliamo che ciascuno possa, in base alle proprie preferenze, scegliere attività adeguate alle proprie peculiarità”, condotte ovviamente da personale qualificato. “Oggi siamo 18 operatori tra laureati in scienze motorie ed educatori e siamo tutti perennemente in formazione”. Il loro obiettivo? Che nessuno resti indietro.

 

Nazaro Pagano: “La disabilità non è una malattia”

Tutto, dunque, ruota attorno alla persona. Pare scontato, ma non è sempre stato così. “Oggi il nostro impegno è quello di implementare il concetto di ‘persona con disabilità’. Un concetto accolto, ma che deve essere attuato soprattutto nel mondo del lavoro e della scuola”. La voce, colma di esperienza, è quella di Nazaro Pagano, presidente nazionale di Anmic. “La disabilità è una condizione, non una malattia. Questa consapevolezza si sta lentamente facendo spazio nella nostra società, anche grazie ad una comunicazione efficace, in grado di valorizzare le persone”. Tuttavia, molto resta da fare. “La vera sfida resta quella di provare a costruire una società accessibile, che permetta a tutti di partecipare alla vita quotidiana”. Per le persone con disabilità, che oggi rappresentano il 7% della popolazione italiana, ci sono – secondo Pagano – delle priorità: “Si rende urgente e necessaria una modifica della L. 68/1999 sul Diritto al lavoro dei disabili per consentire loro un pieno inserimento nella vita sociale. E poi ancora stiamo attendendo una legge sul caregiver familiare, non basta riconoscerlo, ne vanno regolamentati ruolo, comportamento e prerogative. Infine il grande tema: quello del Dopo di noi”. Insomma, la ratifica da parte dell’Italia della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità è stata “una pietra miliare nella costruzione di una società inclusiva”, ma la strada da fare è ancora lunga.

 

Ercolani e Foppa

In primo luogo è necessario abbattere le barriere culturali. Enrico Ercolani, promotore del movimento ‘La Skarrozzata’, lo fa sulla sua quattroruote. “La mia vita è completamente cambiata dopo un incidente, avvenuto mentre praticavo uno sport estremo”. Ora Enrico, geometra dal sorriso stampato sul volto e dallo spiccato accento bolognese, vive in carrozzina, ma continua a correre, almeno con la mente. Ché i pensieri pretendono vita. “Attraverso il movimento da me ideato nel 2011, voglio che i normodotati si mettano nei panni delle persone con disabilità, sperimentando concretamente l’esperienza della vita in sedia a rotelle e di tutte le difficoltà che comporta”. La sua idea ha percorso chilometri, conquistato mete su tutto il territorio nazionale e stravolto i pensieri. “Molti hanno capito che la persona non è la sua carrozzina. Che la sedia a rotelle è solo un ausilio. Dunque, per quanto fermo, continuerò a scarrozzare”. Anzi, a skarrozzare. Fermi, invece, gli atleti della Special Bergamo Sport non ci sanno proprio stare. Dal tennis, al basket, passando per lo sci fino alla vela, l’associazione sportiva dilettantistica presieduta da Mauro Foppa mette a frutto la valenza riabilitativa della pratica sportiva. “Proponiamo lo sport come terapia riabilitativa” spiega Foppa, accompagnato da alcuni atleti della squadra di tennis. “Seguendo un protocollo medico, cerchiamo di riabilitare i ragazzi che hanno subito incidenti”. Ma non è solo questo, i loro sorrisi e la loro autoironia lo confermano. “Dopo un incidente – dicono all’unisono – si può tornare a vivere”. Basta volerlo. Di certo, lo sport può aiutare. “In certi momenti la pratica sportiva è stata una boccata d’aria fresca” svela Paolo. In altri, l’occasione per “levarsi grandi soddisfazioni” conferma Silvia, l’unica donna del gruppo. Si sbilancia poco, Silvia. Ma il suo sorriso basta. E la sua ironia salva.

 

Storia di una vita ordinaria

Si nota in Silvia la forza delle donne. La stessa che ha scandito la vita di Cristina Piacentini “cremasca doc”, che dall’età di 18 mesi vive sulla carrozzina a causa della poliomielite. “Ho avuto una vita ordinaria, anche se per alcuni è straordinaria”. Laurea in matematica, un matrimonio, due figli. Ma il vero problema oggi è che “tutto questo fa ancora notizia. I media spesso forniscono una visione solo parziale della disabilità, concedendo spazio alle storie colme di pietismo o agli sportivi meritevoli”. In mezzo, invece, ci sono esperienze di ordinaria determinazione. Come quella di Cristina. “Mi sono sempre spesa per l’abbattimento delle barriere mentali, prima che architettoniche. All’età di 64 anni, non lo faccio più per me, ma per consegnare alle persone con disabilità un mondo migliore di quello in cui ho vissuto io”. Oggi Cristina è portavoce del Comitato Crema zero barriere, nato con l’obiettivo di “aiutare nella costruzione di una città più accessibile”. E, quindi, vivibile. Per tutti. “Periodicamente mi confronto con i giovani, che sono il futuro. Il prossimo impegno riguarderà l’abbattimento delle barriere presenti all’ingresso dei negozi cittadini”.

 

Ivan Cottini: vivere da protagonista

Si è fatto tardi. Ma la maratona di ostacoli e bellezza organizzata da Gennuso intende stupire ancora. O, per meglio dire, chiudere con il botto. Alle 20 dall’altra parte dello schermo c’è Ivan Cottini, ballerino di Amici e protagonista sul palco dell’Ariston, che abbatte barriere in men che non si dica: “Io sono Ivan, gli eroi sono altri. Da quando la malattia mi ha colpito all’età di 27 anni ho cercato di trovare il bello, di viverlo”. Su un palco, a ritmo di musica. “Ho iniziato a ballare con la sclerosi multipla. A 27 anni non volevo arrendermi all’idea di vivere da malato”. Ivan non si è arreso e ha fatto bene. “Ho il rimpianto di aver vissuto la prima parte della vita in modo superficiale, ora ho scelto di vivere da protagonista. Di vivere alla giornata” e godersi ogni attimo. Nonostante il progredire della malattia. “Stringerò i denti per calcare ancora una volta il palco dell’Ariston, poi annuncerò il mio ritiro. Le mie condizioni fisiche stanno peggiorando e non voglio più sottrarre tempo a me e a mia figlia. Vorrei tanto vederla sposarsi e realizzarsi”. Ivan pensa al cambiamento e guarda in faccia, senza paura, i suoi desideri. Tra questi un futuro in cui “la diversità sbarchi in tv come normalità. La mia presenza nel programma della De Filippi all’inizio ha destato scalpore, perché la gente va educata. La tv ha il potere di unire o dividere le persone. Mi impegnerò affinché le unisca nel rispetto della diversità”. Ora, però, è ancora tempo di danzare: “La danza richiede tanti sacrifici, ma mi ha donato una vita più dinamica”. Ha impedito che “la vita mi passasse davanti”. Gli ha spiegato la differenza tra sopravvivere e vivere. Con le note e il ritmo, per mano alle emozioni. Fino alla meraviglia.

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