14-12-2020 ore 20:28 | Rubriche - Medicina e salute
di Andrea Galvani

Asst Crema. Prendersi cura di una persona morente è un privilegio concesso a pochi

“Prendersi cura di una persona morente è un onore e un privilegio concesso a pochi nella nostra società”. Impossibile dar torto a Paul Rousseau, capo del dipartimento di geriatria del Carl T. Hayden Veteran di Phoenix, in Arizona. A maggior ragione in un’epoca in cui si tende a non accettare tutto ciò che non appare ‘artificialmente perfetto’. Tutto ciò che non sembra ‘commerciabile’. Saper cogliere e gustare l’imperfezione, avere la curiosità di approfondire la sua profonda umanità, la sua naturalezza, è un bene riservato a pochi. Per larga parte del 2020 il Covid ha stravolto le nostre esistenze. Cerchiamo la sintesi di quanto è accaduto nelle parole di Sergio Defendi, primario delle cure palliative dell’Asst di Crema: “al morente ha negato il diritto di una dignità sul fine vita; ai familiari ha negato il diritto di poter stare vicino ai propri cari; agli operatori sanitari ha negato il diritto alla salute psico fisica”.

 

Da fine marzo a fine maggio

Anche gli operatori delle cure palliative cremasche portano evidenti i segni dello tsunami, ma sono consapevoli di essere un punto di approdo, di ristoro per le sofferenze di pazienti e familiari. “Oltre alla reperibilità telefonica dalle 8 alle 20, sette giorni su sette, in supporto ai medici di base e alle Rsa, in ospedale è stato aperto un reparto terminale pazienti Covid. Da fine marzo a fine maggio – spiega Defendi - sono stati assistiti 100 pazienti, di cui 80 morti in sedazione palliativa profonda a fronte di due sintomi refrattari quali la dispnea e il delirium, con una media di sopravvivenza di tre o quattro giorni”. Un ruolo decisivo è stato giocato dall’esperienza e dal lavoro di squadra.

 

La presenza dei familiari

La possibilità di accedere quotidianamente al reparto, di stare accanto ai propri cari, di trovare conforto nella presenza (e nella preghiera) sono stati molto apprezzati. Di quei mesi terribili la coordinatrice di cure palliative Stefania Pandini ricorda la disponibilità dei colleghi, la volontà di allargare le proprie competenze, di mettere se stessi e le proprie conoscenze a disposizione degli altri. In ospedale si avverte chiaramente che nel territorio qualcosa è cambiato. I medici di base riescono a gestire meglio la situazione e i pazienti possono essere seguiti a casa, senza dover necessariamente essere ricoverati. Allontanati da ciò che per loro è più caro. La strada da percorrere è questa: il potenziamento della medicina di prossimità. Attualmente gli infermieri di famiglia hanno in cura circa 100 persone sul territorio.

 

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Quanto è accaduto ha profondamente segnato gli operatori sanitari. “La situazione ora è più sotto controllo”, spiega Defendi: “Il Covid ci ha insegnato a vivere l’ora e il qui, il presente. Siamo riusciti a elaborare questo vissuto - emotivo, fisico - trovando uno spazio per condividere la nostra fragilità, la debolezza, i nostri punti di forza. Ci ha permesso di arrivare fin qui con delle armi in più, che prima non avevamo”. È proprio vero, “prendersi cura di una persona morente è un onore e un privilegio concesso a pochi nella nostra società”. Giusto che sia così.

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