13-02-2020 ore 10:45 | Rubriche - Costume e società
di Andrea Galvani

Ibrahim Faltas: ‘Gerusalemme non si può vendere. Dov’è la comunità internazionale?’

Come spiega Ibrahim Faltas, parroco di Gerusalemme, “l’immagine più diffusa nel mondo della nostra città è senza dubbio la moschea della roccia, un’architettura islamica di grande bellezza, situata in uno dei punti più alti della città vecchia, sulla spianata delle moschee che sovrasta il kotel, comunemente conosciuto come muro del pianto e a pochi metri di distanza dal santo sepolcro. La moschea della roccia, il muro del pianto e il santo sepolcro, rappresentano i luoghi di preghiera più importanti delle tre grandi religioni monoteiste, l’islam, l’ebraismo e il cristianesimo, presenti a Gerusalemme rendendo unica al mondo questa città, patrimonio unico per l’umanità”.

 

L’accordo del secolo

“Ma questa immagine di Gerusalemme, la città santa, la città delle tre grandi religioni che vivono e coesistono – avverte il francescano egiziano, per anni custode della basilica della natività - rischia di subire un radicale cambiamento dopo l’atteso accordo del secolo, per una soluzione di pace tra israeliani e palestinesi. Come tutti, ho seguito con attenzione e molta preoccupazione il discorso, pensando inizialmente e ricordando l’immagine di Clinton, allora presidente degli Stati Uniti d’America, che ha avuto il ruolo di mediatore tra Rabin e Arafat nell’Accordo di Oslo. Un accordo che aveva aperto tutti alla speranza di un futuro e di una pace possibile, la popolazione palestinese e gli israeliani erano scesi per le strade per festeggiare auspicando ad una nuova vita”.

 

La comunità internazionale

Questa volta l’immagine è diversa: “L’accordo è stato studiato e proposto solo dal presidente Trump, quindi dall’America con Israele. In genere per fare un accordo ci devono essere le due parti, sarebbe stato meglio vedere Abu Mazen e Netanyau a confronto. L’America avrebbe dovuto avere il ruolo di mediatore delle trattative, ma una domanda sorge spontanea, dov’è finita la comunità internazionale?” Faltas sottolinea che l’accordo era molto atteso da tutti quei palestinesi e israeliani che “vogliono vivere nella pace e nella tranquillità”, ma quando è stato annunciato “nessuno è sceso per strada a festeggiare ma per protestare. I palestinesi e parte degli israeliani, perché anche gli israeliani hanno trovato ingiusto l’accordo e non vogliono essere partecipi di ciò che è stato proposto dall’America e da Israele”.

 

Il grave errore diplomatico

“Il popolo palestinese – prosegue Ibrahim Faltas - ha subito una forte umiliazione, non merita di essere trattato in questo modo, non sono statuine in una mappa geografica da muovere, come in un gioco; c’è la storia della vita di tanta gente, fatta di sacrifici e umiliazioni quotidiane, c’è una nuova generazione che spera di poter vivere in questa terra e di mantenere vive tradizioni e cultura, tenendo presente che ormai milioni di palestinesi vivono nella diaspora”. Ciò che agli occhi del francescano appare come un “grave errore diplomatico” è “la mancanza di rispetto nei confronti dell’anziano presidente della Palestina, Abu Mazen, un uomo che ha lavorato per la pace tra i due popoli, ha cercato di infondere speranza nonostante i numerosi problemi sociali ed economici. Abu Mazen è stato l’artefice degli accordi di Oslo. Ha incentivato il processo di pace e di dialogo, ma ora si sentirà ingannato, deluso e tradito anche dalla comunità internazionale, ormai assente”.

 

La preoccupazione del mondo arabo

Perché si possa raggiungere un vero accordo tra Israele e Palestina serve un pieno coinvolgimento della comunità internazionale. In questo contesto “l’America, come maggiore potenza del mondo, potrebbe essere al vertice di un nuovo capitolo del trattato di pace, condiviso e studiato da tutti. Ma la questione più importante rimane Gerusalemme. Risuonano forti le parole del presidente Abu Mazen: “Gerusalemme non è da vendere!” pronunciate dopo aver saputo che l’accordo prevede Gerusalemme capitale indivisibile del popolo ebraico. Tutto il mondo arabo è preoccupato e tutti noi che viviamo a Gerusalemme siamo preoccupati, perché una risoluzione del genere potrebbe scatenare i fanatici estremisti dell’Isis, che in questi ultimi anni hanno devastato il medioriente. Bisogna capire che Gerusalemme appartiene all’umanità intera, deve essere una città aperta, con uno statuto speciale internazionale. Non possiamo paragonarla a nessuna città al mondo, va trattata nella consapevolezza che è la città di Dio, così come lungo questi millenni l’hanno esaltata i profeti, i grandi rabbini, così come Gesù ha pianto su di essa e i musulmani la sentono santa, così come san Giovanni Paolo amava ricordare sempre che “se ci sarà pace su Gerusalemme, ci sarà pace in tutto il mondo”.

 

Una città in festa

Faltas mostra un quadro appeso nel suo studio: “è stato realizzato da un pittore ebreo brasiliano. Raffigura Gerusalemme come una città in festa, dove il cristiano, l’ebreo e il musulmano passeggiano insieme, dove tutti i popoli con strumenti musicali e danze esprimono la loro gioia di essere insieme nella santa città. Tutti noi ci dobbiamo sentire coinvolti a continuare questa festa, a fare in modo che si realizzi. Questo è il sogno che dovremmo avere tutti, vedere Gerusalemme in festa! Rimarrà un sogno?”

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