08-03-2021 ore 18:38 | Rubriche - Medicina e salute
di Andrea Galvani

Crema. Covid, pazienti e medici: ‘Pensi capiti solo agli altri, poi ti crolla il mondo addosso’

“Covid? Pensi sempre che capiti solo agli altri, ma quando ti capita ti crolla il mondo addosso. Fai fatica a respirare, a parlare”. Ricoverato nel reparto di pneumologia dell’ospedale di Crema poco prima di essere trasferito per la riabilitazione, Alberto Giuseppe Pavesi racconta che all’inizio della malattia pensava di aver esagerato a recarsi in ospedale: “Dopo tre giorni invece no. Poi veramente l’ho vista brutta. Certo, chi non prova non può immaginare cosa può succedere. Non lo avrei mai immaginato nemmeno io. Anche perché quando ti arriva addosso - racconta Antonio Di Paola - non sai neanche da che parte arriva”.

 

Sofferenza fisica e morale”

La preoccupazione è tanta. Aumentata dal senso di colpa. Il tarlo di non aver fatto tutto quanto fosse necessario. Si ha paura per sé e per i famigliari, inevitabilmente coinvolti. In tanti, per strada e sui social, ostentano tracotanza: “è poco più di un’influenza”. E via, mascherina abbassata e sorrisetto stampato, pensando di dare un’immagine da duro, senza comprendere che in realtà si va a sfidare la sorte. Basterebbe osservare gli occhi delle persone ricoverate in ospedale per comprenderne il senso. Lo spiega Andrea Grassi: “è un percorso lungo. Anche se non ho avuto complicazioni sono qui da 15 giorni e ancora non mi molla”. Simona Scorsetti, responsabile dell’Utir pneumologia, sottolinea un aspetto fondamentale, che le persone coinvolte non dimenticano: “Anche chi è fortunato e guarisce passa un momento di sofferenza che non è solo fisica; è una sofferenza anche morale, legata alla disabilità grave, al fatto che non si è in grado di lavarsi da soli, ci si affatica per mangiare o semplicemente nel fare una videochiamata ai familiari”.

 

La terza ondata

È passato un anno. Un anno lunghissimo, orribile. Ora ci risiamo. La terza ondata ha caratteristiche diverse dalle precedenti. “Sono molto più frequenti i ricoveri di giovani e con evoluzioni cliniche più tumultuose, anche se con un accesso alla terapia intensiva meno frequente”. I numeri sono impietosi. Vanno letti con attenzione. Con rispetto, perché dietro ogni numero ci sono persone, famiglie, esistenze intere. È il primario Alessandro Scartabellati a ricordare che “dal 16 ottobre fino alla fine di febbraio abbiamo ricoverato 544 pazienti Covid. La mortalità è stata del 19 per cento”. Il sacrificio del personale sanitario è stato enorme. Compreso all’inizio, nel momento del grande spavento, ora viene addirittura disconosciuto: “La media delle ore fatte in eccesso, non pagate, dell’anno scorso, dei medici della pneumologia è stata superiore alle 300 ore per questi pazienti”.

 

La medicina territoriale

A livello emotivo non è complicato, è quasi impossibile reggere una situazione di disagio così a lungo. Non si riesce più a chiudere la porta lasciandosi alle spalle i pazienti. La medicina territoriale sta dando una grossa mano: “ci permette di monitorare i pazienti che dimettiamo dal pronto soccorso” e soprattutto “siamo ad un passo dall’avere vaccini per tutti. Non dobbiamo dimenticare tutti i sacrifici fatti fin qui”.

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