07-01-2020 ore 10:10 | Rubriche - Costume e società
di Gloria Giavaldi

Vittorio Corona, cosa significa essere padre di un ragazzo con la Sindrome di Down

“Eravamo in vacanza in montagna, Gabriele e Chiara si sono presi per mano ed hanno cominciato a camminare, insieme”. Ricorda i particolari, Vittorio Corona, perché per i suoi figli questo è stato un traguardo importante. Di quelli che lasciano il segno anche nel cuore e nella mente di un padre che non può permettersi il lusso di essere fragile. O, almeno, non troppo spesso. Perché la Sindrome di Down non lo consente.

 

Tra speranza e verità

“Quando ho saputo di dover crescere un figlio disabile ho provato vergogna. Dalla finestra della sala d’attesa ho fissato il vuoto. In silenzio”. In quel silenzio colmo di paure ed interrogativi che abita le sale d’aspetto degli ospedali. In altalena tra la disperazione e la speranza. “Pensavo in questo modo di poter trovare una spiegazione a tutto”. Poi è bastato un semplice abbraccio. “Quando ho preso Gabriele tra le braccia ho capito che ce l’avrei fatta. Che ce l’avremmo fatta. Insieme”. Lui, Gabriele e Rosalia. “Io e Rosalia volevamo un figlio. L’abbiamo cercato e per lungo tempo abbiamo sperato. La gravidanza è stata travagliata, alla nascita avevo capito che qualcosa non andava. Tra i vari tentennamenti del personale medico ho subito voluto vederci chiaro: “Gabriele ha la Sindrome di Down?” chiedevo ai sanitari: “Pare di sì, ma seguiranno accertamenti”, rispondevano all’unisono. Visite ed esami per decretare la verità: Trisomia 21. Scritto su un foglio, nero su bianco, senza troppe indicazioni sul da farsi. “Siamo usciti dall’ospedale senza certezze. Mia moglie, appresa la notizia, si era totalmente annullata. Per lei esisteva solo Gabriele. Di tutto il resto pareva non le importasse nulla”. Reagire era necessario per non farsi schiacciare dalla Sindrome di Down. “Le ho parlato, chiedendole di uscire insieme a me e a nostro figlio. Perché, in fondo, eravamo una famiglia”.

 

Essere padre

Tre persone legate da un sentimento indissolubile e desiderose di continuare a vivere. “La disabilità unisce o divide, tutto dipende dalla nostra voglia di andare oltre”. Di trovare la forza per costruire insieme la quotidianità. “Essere padre spesso impone di essere spettatori a distanza delle conquiste dei figli. Crescere un bambino con disabilità comporta delle spese non indifferenti, per questo ho sempre cercato di barcamenarmi tra la famiglia ed il lavoro, senza perdere di vista le piccole grandi conquiste che Gabriele faceva sue giorno dopo giorno”. Dai momenti di gioco con mamma Rosalia, al desiderio di esplorare il mondo con le sue gambe, per mano alla sorella Chiara. “La nascita di Chiara ci ha aperto un mondo. Ci ha messo di fronte alla differenza, ma ci ha anche fatto capire che la disabilità non doveva essere un peso per nessuno. Che potevamo essere una famiglia felice, bastava volerlo ed imparare a gioire delle piccole cose”. Come di una serata qualunque in montagna destinata ad essere ricordata per sempre. “Gabriele e Chiara hanno ventidue mesi di differenza ed esigenze diverse. Quella sera hanno scelto di farci un regalo e di iniziare a camminare insieme. Per gli altri può essere una banalità, ma per noi è un traguardo immenso”. Per Gabriele, ma anche per Chiara. “Il loro è un rapporto normale di odio ed amore, che non conosce differenza”.

 

Recuperare il tempo perso

Poi sorride e tradisce un briciolo di malinconia. “Oggi Gabriele e Chiara sono grandi, ma mi piace pensare di avere comunque l’opportunità di recuperare il tempo perso”. Tra un abbraccio ed una paternale. “Tra me e Gabriele intercorre un rapporto paritario, ma i ruoli devono essere chiari”. C’è un tempo per gli abbracci ed i sorrisi, uno per gli impegni ed uno, molto ristretto, per il broncio conseguente aspettative disattese. “Gabriele è abitudinario. Di recente, ad esempio, non ha apprezzato la scelta di trascorrere parte delle vacanze natalizie in Sardegna. Ma il suo broncio dura il tempo di un abbraccio. Poi perdona tutto”. Tutto, anche l’ignoranza, alla quale risponde con un sorriso, capace di infondere coraggio in qualunque situazione.

 

Il futuro

Quel coraggio che manca ai suoi genitori quando si accenna al futuro. “Del futuro ho paura” spiega Vittorio. “La tematica del Dopo di Noi spaventa tutti, le associazioni che stanno proponendo soluzioni per incrementare l’autonomia dei disabili gravi restano la nostra unica speranza”. Lo dice con la consapevolezza di chi ha scelto di gettare la maschera e di raccontarsi, una debolezza per volta. Per dimostrare quanto è bello essere fragili, quanto è bello essere umani.

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