06-10-2022 ore 10:13 | Rubriche - Musica
di Matteo Raise

Per i Sigur Ros oltre due ore di concerto al Forum di Milano: dalla natura al trascendente

Vista da fuori, quella dei Sigur Ros può sembrare musica per gente dai ‘gusti strani’, o quantomeno ben felice di essere confinata in una propria nicchia. Parliamo del resto di un gruppo che se va bene canta in islandese, diversamente in una lingua da loro inventata, il vonlenska (che non so perché a me ricorda il Codex Seraphinianus di Luigi Serafini) con canzoni in media oltre i sette minuti, ben lontane da una qualsiasi idea di strofa – ritornello. In realtà, superati i preconcetti, si tratta di un gruppo che nel suo onirismo sa davvero riconnetterti ad una sfera più assoluta e trascendente.

 

Post rock

Possono testimoniarlo le persone che hanno avuto la fortuna di assistere alla loro esibizione al Mediolanum Forum lo scorso 4 ottobre. All’incirca due ore e venti di concerto suddiviso in due set e 17 canzoni in cui il pubblico, in composto silenzio intervallato solo da applausi a fine canzone, ha avuto la fortuna di assistere all’esecuzione quasi integrale del loro capolavoro di post-rock () (è quello il titolo, non è un refuso) che proprio questo mese festeggia i suoi primi 20 anni. Il resto del concerto ha attinto dagli altri album della band con l’aggiunta di un inedito che probabilmente troverà spazio nel nuovo album di futura uscita, che andrà a colmare una assenza discografica ormai quasi decennale (anche se, tra progetti solisti e altro è comunque stato un decennio abbastanza fitto di impegni, tra cui svetta il documentario visivo e sonoro di 24 ore intorno alla Hringvegur islandese chiamato Route one).

 

Elementi naturali

Il principale luogo comune parlando di un musicista islandese è che porti in musica gli elementi naturali della sua terra di origine. Per quanto non abbiano mai nascosto l’amore per la loro patria (e ogni tour trova la naturale conclusione a Reykjavik, che peraltro ha una scena musicale molto più viva e prolifica di altre realtà europee), ricondurre la personale visione artistica del gruppo all’esplosione di un geyser è alquanto banalizzante e limitante. La loro musica trova origine in un mondo fisico per poi raggiungere, per chi ha la giusta predisposizione di ascolto, lidi inesplorati. In questo non hanno termini di paragone con nessun altro gruppo al mondo. Il mio amore per questa band, e per l’Islanda, è nato (troppi) anni fa dalla visione del loro documentario Heima (lo trovate su Youtube). Provate a guardarlo e mi ringrazierete. O mi odierete. Takk”.

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