05-06-2025 ore 20:07 | Rubriche - Folcioni, la musica cresce
di Annamaria Carioni

Benvenute le contaminazioni musicali: Enzo Rocco spiega il jazz fra tecnica ed estro creativo

Enzo Rocco si presenta affermando di non essere un professore. Certo, ha una laurea, conseguita al Dams con una tesi in semiotica musicale ed ha sempre affiancato all’attività concertistica la realizzazione di progetti di animazione musicale collaborando con innumerevoli enti. Dalla fine degli anni ‘80 è stato sideman con diversi musicisti della scena jazzistica milanese e da allora non si è mai fermato, anzi ha continuato a sperimentare nuovi percorsi e a suonare con grandissimi artisti. Non ama auto lodarsi, perciò ci rivolgeremo a lui semplicemente con il suo nome di battesimo.

 

Enzo, parlaci di te e della disciplina che insegni in questa scuola.
“Sono un chitarrista più o meno di jazz, ma interessato anche ad altro. Qui in Folcioni insegno specificamente la chitarra elettrica, quindi sia che si tratti di jazz, sia che si tratti di rock. Preferisco corsisti che abbiano avuto almeno due o tre anni di esperienza, per esempio sulla chitarra classica, quindi i miei allievi hanno un'età che parte mediamente dai 14-15 anni in poi. Mi occupo anche del laboratorio di jazz e delle tecniche di improvvisazione”.

 

E tu come hai iniziato a suonare?
“Non mi ricordo, perché è passato tanto tempo – Enzo sorride, e' sorniona la sua carica ironica - Ho iniziato a suonare alle scuole elementari, quando mi hanno iscritto ad un corso di pianoforte. Dopo due o tre anni, nauseato dal solfeggio, ho detto basta. Avevo una specie di pianola a casa, suonavo un po' a orecchio in maniera completamente fallimentare, non ero proprio portato, non mi interessava. Però in terza media o giù di lì, ho cominciato ad ascoltare veramente molta musica, ho comprato una chitarra e ho iniziato un percorso da autodidatta, non ho mai preso una lezione, mai; ho seguito un libretto che si chiamava Chitarristi in 24 ore”.

 

Da ragazzo quali erano i tuoi miti musicali?
“All'epoca non avevo il minimo interesse per la musica rock, l'ho recuperato dopo; invece mi piacevano tantissimo il folk revival, le musiche etniche, tradizionali, folcloriche, soprattutto quelle del Sud Italia, considerando che sono nato a Crema, ma sono cresciuto nel centro di Napoli: ascoltavo James Senese, Tony Esposito, da lì al jazz il passo è stato breve”. Enzo non ne parla, ma anche lui ha una carriera di tutto rispetto: ha realizzato una ventina di cd e concerti in tutta Europa, America, Nord Africa e Asia.

 

Da quanto tempo sei insegnante al Folcioni?
“Ho cominciato nel 2000, quando sono stato chiamato, insieme a Mario Piacentini per allestire un corso sull'improvvisazione jazzistica. Tra l'altro a questo corso hanno partecipato alcuni degli attuali insegnanti della scuola, quindi forse dovrei andare in pensione”. Di nuovo, si sorride alla considerazione che ricorre l'anniversario delle nozze d'argento tra il docente e il Civico Istituto di musica. “E' chiaro che sono partito suonando il jazz più canonico possibile. ma questa cosa è durata una decina d'anni, dopodiché mi sono reso conto che non era il mio pane - Enzo parla in modo schietto, con consapevole autoironia - E infatti mi hanno amichevolmente licenziato, non ho paura a dirlo, da un paio di gruppi, sottolineando che, sì, ero bravo, bello e simpatico, ma quelle cose lì...” Si ride di nuovo.

 

Con quale motivazione gli allievi si approcciano a questo tipo di musica?
"Trovo che un po' di anni fa le motivazioni principali erano l'amore e la passione per la musica, che i ragazzi nutrivano già per conto loro. C'era curiosità verso lo strumento e soprattutto era abbastanza facile metterli insieme a suonare. Oggi questo è molto più difficile. Lo so che passo per anziano, quando sostengo che la diffusione della musica attraverso internet non è necessariamente positiva: hai moltissime più possibilità di scoprire cose nuove, però è anche vero che c'è talmente tanto materiale che la maggior parte dei ragazzi dopo mezz'ora non ci capisce più niente e abbandona la faccenda".

 

Che valore ha la musica nella formazione personale?
“Si può vivere benissimo senza musica – la risposta di Enzo sottende una sottile provocazione - Io penso che sia molto meglio lavorare, affinché più gente possibile abbia un buon rapporto con la musica, piuttosto che fare scuole di specializzazione, da cui sfornare mostri di bravura. Non ha senso avere un solista strepitoso e nessuno che lo va ad ascoltare. Quello è il valore educativo, di crescita sociale, di comunicazione, di sviluppo spirituale della musica, non sto io a dirlo, credo che sia abbastanza appurato da milioni di pagine”.

 

Com'è il tuo approccio didattico all'insegnamento della chitarra? 
“Tenderei a capire chi voglia fare un percorso finalizzato ad entrare in conservatorio, dove oggi si entra non solo per fare musica classica, ma anche la cosiddetta musica pop e chi invece lo faccia per sport, con maggiore o minore impegno. Quindi, il mio approccio è abbastanza leggero con questi ragazzi che vogliono provare, che hanno la passione per suonare”. Enzo continua a spiegare che cerca di far divertire i suoi allievi, perché così si possono ottenere i massimi risultati con il minimo sforzo. “La musica è improvvisata prima di essere scritta, ecco perché è così stimolante conoscere ed apprendere le tecniche dell'improvvisazione”.

 

Non ti piace l'auto incensamento, però lo possiamo dire che hai girato il mondo?
Ho fatto parecchie cose, per esempio in Nord Africa: attorno al 2010, fui invitato a Tunisi per condividere un festival e la direttrice dell'Istituto Italiano di Cultura di quella città mi propose di tenere dei corsi per i musicisti dell'università tunisina. Il mio collega Carlo Actis ed io abbiamo accettato e siamo stati parecchi giorni a lavorare li, la mattina con gli studenti e il pomeriggio con un nutrito gruppo di musicisti di colore. Loro sono i pronipoti degli ex-schiavi e suonano una musica particolarissima, solo percussioni. La' abbiamo fatto un paio di concerti, secondo me, molto validi, molto interessanti. Quindi, contaminazioni musicali, benvenute: il jazz è una musica che non ha confini di nessun tipo”.