05-03-2020 ore 20:34 | Rubriche - Costume e società
di Gloria Giavaldi

Cecità. Flavia Tozzi: “Il buio non mi ha rubato la vita ed oggi mi batto per l’inclusione”

Andavano in bicicletta nel cortile di casa, facevano i giochi “da maschiaccio”. Attraversavano il buio, sfidando il destino che le ha unite. Come due amiche, come sorelle. Flavia e Annamaria Tozzi hanno vissuto fianco a fianco ogni istante della vita, senza mai vedersi. Senza mai arrendersi. “Io e mia sorella siamo cieche, praticamente dalla nascita” spiega Flavia. “Inizialmente la retinite pigmentosa ci consentiva di distinguere luci e ombre. Poi abbiamo dovuto abituarci al buio”. Abituarsi, fare spazio ad una nuova condizione fino ad accoglierla. “Quando una cosa si fa prepotentemente spazio nella tua vita, finisci per assimilarla. Per farla diventare una parte fondamentale di te”.

 

Sperimentare

Non c’era più tempo per i conflitti e gli interrogativi senza risposta, restava una vita da vivere. Al buio, ma al massimo. “Io ed Annamaria siamo cresciute in un paese piccolo, ma abbiamo sperimentato tutto in libertà. I nostri genitori non ci hanno mai tenuto sotto una campana di vetro. La cecità non ci ha rubato l’infanzia, i sorrisi, la vivacità, la vita. Abbiamo anche frequentato gli Istituti per ciechi e non ci siamo mai sentite diverse. Anzi, lì abbiamo sperimentato ogni tipo di gioco e di attività”. Ne parla al passato, non solo perché gli istituti speciali sono stati chiusi. “Oggi è tutto diverso. I genitori hanno paura, proteggono eccessivamente i figli, non consentendo loro di fare esperienze anche traumatiche”. Di sbucciarsi le ginocchia, cadere, piangere e rialzarsi.

 

Inclusione a scuola

“Quanto alla scuola, invece, non voglio essere fraintesa. La normativa che ha previsto la chiusura degli istituti speciali è stata positiva perché ha dato la possibilità alle persone cieche di frequentare la scuola di tutti. Ma poi l’inclusione va attuata sul serio, affiancando agli alunni con disabilità personale empatico e preparato, capace di valorizzare le peculiarità di ciascuno e di rispondere adeguatamente alle esigenze di tutti”. Ché sostegno non significa isolamento, ma supporto, aiuto e condivisione. “Spesso accade che gli alunni con disabilità vengano estromessi dalla classe, bloccando così quel processo di integrazione di cui tanto si parla. Al contrario, bisognerebbe ascoltare il desiderio dei piccoli di socializzare ed assecondarlo, valorizzando anche le diversità di cui il gruppo si compone”.

 

Braille e parole di troppo

Poi si ferma e tocca i testi. “Il sistema Braille oggi non si insegna più, ma potrebbe diventare un fenomenale punto di contatto tra i più piccoli. Se il bambino con disabilità visiva avvertisse il desiderio dei compagni di apprendere il suo stesso alfabeto non si sentirebbe diverso”. Flavia preferisce toccare la carta, piuttosto che affidarsi alla sintesi vocale. “Il Braille mi ha reso autonoma, mi ha consentito di sentire le parole, di toccarle, di avere cognizione delle pagine. Sono sensazioni, queste, che la sintesi vocale non restituisce”. Sembra di passeggiare in un’altra epoca, affondando nella storia di chi non può guardarsi allo specchio, ma può riconoscersi sempre, avendo imparato a conversare anche con le proprie paure. “Di inclusione oggi si parla tanto, ma non adeguatamente. Fanno notizia le discriminazioni nei riguardi dei disabili o gli atti eroici e i successi sportivi delle persone con disabilità”. Ma le persone sono altro. Sono storie di tenacia e fragilità, di luci e ombre, di sorrisi sempre e comunque stampati in faccia, di difficile, ma desiderata normalità. “Si continua a raccontare la straordinarietà dell’essere disabili. Ma essere disabili non è straordinario, bisognerebbe imparare ad accettarsi e ad accettare gli altri per quello che sono”.

 

L’impegno nell’Uici

Racconta verità scomode, Flavia, con una sicurezza che profuma di esperienza, maturata negli anni all’interno dell’Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti (Uici), associazione di promozione sociale che quest’anno celebrerà il centenario. “L’Uici oggi è casa mia. All’interno di questa istituzione sono cresciuta ed ho imparato a difendere i diritti delle persone con disabilità visive”. Flavia è la presidente della sezione cremonese dell’Uici. “È un incarico che ho voluto assumere per soddisfare il desiderio di essere utile al prossimo ed ora che questo mandato, iniziato nel 2015, sta per scadere sento di ringraziare chi in questo tempo si è speso con me per dare attuazione agli intenti della nostra associazione. Spero, in futuro, ci sia una maggiore partecipazione dei giovani perché non bisogna dimenticare che i diritti di cui oggi le persone cieche godono sono il risultato di un impegno condotto con determinazione da chi li ha preceduti. In ogni caso sono soddisfatta, anche se non pienamente”. Ma forse è proprio questo il segreto per spingersi oltre e fare meglio. “Tanto è stato fatto, ma ancor di più resta da fare per rendere le persone consapevoli dei loro diritti e delle loro peculiarità”.

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