01-09-2021 ore 17:39 | Rubriche - Costume e società
di Gloria Giavaldi

L'occhio attento di Giordana sull'Afghanistan: 'ripartire dal dialogo per costruire il futuro'

Non possiamo salvare le persone afghane portandole in Italia. Bene la solidarietà, ora è necessaria, ma immagino un futuro in cui sarà necessario costruire per il bene del paese. Non possiamo svuotare l'Afghanistan, altrimenti chi farà resistenza civile?”. La voce è quella di Emanuele Giordana, giornalista ed esperto di geopolitica. Moderato dal coordinatore cittadino del Partito democratico Antonio Geraci, ha tracciato il quadro di un paese “vittima del peccato originale americano”. Quella in Afghanistan “doveva essere una guerra lampo”. Poi si è trasformata. “In questi giorni le forze americane hanno lasciato un paese martoriato, diviso ed in difficoltà”. La guerra ha fallito. “Non si cambia il mondo con la violenza”. Le scene di disperazione lo dimostrano. I talebani sono tornati e le forze armate americane “se ne sono andate, lasciando un paese dove 7 persone su 10 fanno fatica a mettere insieme pranzo e cena”.

 

'La guerra non è la soluzione'

Questa è la più grande responsabilità, cioè “l'illusione data agli afghani di essere lì per lavorare. Per garantire sviluppo al paese. La realtà è che abbiamo delegato alle forze armate ciò che non riusciamo più a fare attraverso la diplomazia, il dialogo, la trattativa”. In Afghanistan sono morti oltre 2000 soldati americani, 54 italiani, 70 mila afghani. La spesa militare italiana ammonta a 8.7 miliardi. “La guerra non è mai la soluzione, lo diceva anche Gino Strada”. La soluzione si costruisce lentamente. Parte dal dialogo. Sempre. “Soprattutto coi nemici”. L'errore più grande ora “è stato quello di chiudere l'ambasciata. Non negoziare con il nemico significa non garantire quei diritti che avevamo promesso di garantire per sempre”.

 

I talebani

Peraltro, “negoziare è l'unica alternativa che abbiamo per salvare quel poco di buono che la nostra missione ha fatto in Afghanistan”. Anche a partire dalla consapevolezza che “i talebani del 2021 non sono come quelli del 1996. Sono più moderati. All'inizio i talebani formavano un movimento etnico. Nel tempo si sono espansi e hanno cercato di modificarsi. Ora sono un movimento pragmatico con un vertice politico istruito e capiscono che il mondo è cambiato. Sanno che oggi le donne non possono più essere escluse”. L'applicazione della fede talebana “si fa sentire, ma non è più così estremista”. Il desiderio di dialogo deve partire dall'Occidente. “Mi sono stupito che l'Unione Europea non abbia preparato una missione diplomatica destinata a Kabul in questi giorni”. Oggi “i talebani sanno che un paese non può sopravvivere con un solo padrino. È chiaro, non possiamo esportare la democrazia, non dobbiamo assumere il loro modello, ma cercare un confronto per garantire i diritti e ragionare su questo anche con loro”.

 

Accogliere e costruire

Ora è anche il momento della solidarietà. Saranno 4900 gli afghani accolti in Italia. “Spero riusciremo a dare loro una vita dignitosa, ma mi auguro lavoreremo per riportarli nel loro paese”. Un paese diverso. Ad oggi anche Crema e Cremona hanno dato disponibilità all'accoglienza: “sono molto felice”, ma “la resistenza civile non può cessare. Se svuotiamo il paese come si fa? Ogni paese deve ripartire, deve fare la propria strada. Lo ripeto: dobbiamo esserci per garantire i diritti. Dobbiamo esserci per negoziare: è sempre la soluzione. Dobbiamo imparare a costruire un rapporto con gli altri. Ad esporre le ragioni e ad accettare quelle altrui. Se queste tradiscono i nostri valori si deve fare una battaglia, ma non si può fare con le armi. La guerra non serve”.

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