“Sono l’ultima persona che può giudicare: mi sono insediato a legislatura già cominciata e non faccio parte di alcuna commissione. Però partecipo come uditore, per colmare il divario”. Pietro Mombelli è entrato in maggioranza prendendo il posto del dimissionario Matteo Piloni, nel frattempo nominato assessore. È alla sua prima esperienza in sala degli Ostaggi dopo anni di impegno nel mondo del volontariato.
Consigliere, che impressione le ha fatto questo Consiglio?
“Credo sia stato fatto un gran lavoro. I consiglieri senza ruoli nelle commissioni sono coinvolti solo nel momento della decisione finale. Sta alla persona darsi da fare – io l’ho fatto con Un cuore in ogni quartiere – e interessarsi delle varie attività che si svolgono, oppure decidere di fare l’alzamano”.
Quanto conta il supporto del partito?
“Per me è determinante: sono stato eletto nella lista Pd ma prima di insediarmi ho voluto incontrare gli esponenti del partito per avere il più largo consenso. Non si può essere corpo a se stante. È necessario avere una struttura di riferimento. Inoltre, mi riesce difficile credere ai progetti estemporanei; penso che l’esplosione delle liste civiche sia da ascrivere anche al fattore moda”.
Nutriva aspettative al suo ingresso nel Consiglio?
“Sinceramente no: vengo dal volontariato e mi ero interessato al Pd perché, alla sua nascita, mi sembrava la novità. Più che altro volevo vedere dall’interno come funzionano le cose, perché le problematiche sono più complesse di quanto non appaia dall’esterno”.
Se l’immaginava differente?
“Credo molto al valore delle istituzioni e all’appartenenza; a volte, tuttavia, mi sembra che questi aspetti vengano meno e prevalga l’aspetto personalistico. Anche nella discussione l’interesse personale viene anteposto a quello della città. Eppure non siamo a New York: su molti argomenti si potrebbe trovare convergenza, senza contare che il Consiglio dovrebbe essere un luogo di mediazione, di incontro e condivisione”.
A che punto siamo con il coinvolgimento della cittadinanza?
“Non so se sia più colpa di chi fa politica, che non riesce a stimolare la partecipazione, o della gente, che invece non vuole farsi coinvolgere. Le stesse associazioni di volontariato dovrebbero osare di più e farsi avanti, chiedere supporto e ascolto ai loro rappresentanti”.
Ritiene manchino gli strumenti adatti?
“No, gli strumenti ci sono. La partecipazione è qualcosa che richiede molto tempo e che, di per sé, è tutt’altro che semplice. Ritengo che questa amministrazione non sia stata insensibile alle proposte e che dall’altra parte un po’ troppo sia stato dato per scontato. Non manca la disponibilità ad ascoltare ma manca la propositività. D’altro canto, tutti sappiamo che è più facile criticare che proporre”.