La cornice è la splendida sala Pietro da Cemmo con i suoi preziosi affreschi, due sedie da regista al centro, due leggii ai lati, una chitarra e uno schermo a fare da scenografia di fondo. C'è fermento, si respira curiosità per uno spettacolo che si annuncia diverso, sfidante: l'unico “attore” sul palco è Pierfrancesco Maran, classe 1980, milanese, assessore in carica con delega alla casa e al piano quartieri nel mandato di Beppe Sala, ma impegnato in qualità di amministratore della metropoli lombarda da più di trent'anni nei difficili campi della mobilità, dell'urbanistica, dell'ambiente. “Il teatro non è il mio primo lavoro. Di solito mi chiamano assessore”. Eppure nella prima tappa del suo tour “Le citta visibili. Paesaggi urbani in cerca di autore” è un attore convinto e convincente: nel significato etimologico del termine, è colui che agisce, che porta materia su cui riflettere, che provoca con garbo e competenza.
A Milano non si usa
Il serrato, ma disteso racconto di Maran parte dalle vicende autobiografiche, dal ragazzo dodicenne che nel giro di pochi anni vive la caduta del muro di Berlino, la strage di Capaci e di via d'Amelio e sente crescere dentro di sé il desiderio e la necessità di comprendere i vincoli e le opportunità del mondo in cui vive, e di provare a fare qualcosa per cambiarlo. “Venditti cantava In questo mondo di ladri e a Milano c'era Tangentopoli - soggiunge il protagonista, proseguendo l'excursus storico – In tv impazzava Non è la RAI e alle pareti appendevamo i poster dei cantanti preferiti”. Tra ricordi musicali e di vita vissuta, l'assessore ripercorre la sua attività politica, incentrata sulla profonda convinzione che i valori e gli ideali debbano camminare su azioni concrete. Poi accenna di sfuggita all'episodio, che generò una diffusa eco mediatica nel 2018, quando nel corso di un'intercettazione, emersa da un'indagine in tema di corruzione da parte della Procura di Roma, rifiutò con sdegno un appartamento, che gli veniva offerto in cambio di favori, dicendo “Qui non si usa” e precisando poi che il suo non era stato un atto di eroismo, ma la normalità.
Le città luoghi di opportunità
“Tutto è politica – afferma Maran con genuina convinzione – La politica è la più nobile delle arti. Stasera faremo un viaggio tra parole, letteratura, musica e politica”. Sullo schermo appare un'immagine della Basilica di S. Maria della Croce, che simbolicamente introduce il tema portante della serata: le città. Così si parte davvero per un suggestivo viaggio alla scoperta di grandi città europee e non, parlando della pandemia che ha modificato gli orizzonti di vita, dell'importanza della logistica e dei trasporti, di visioni urbanistiche futuribili e, come annunciato in apertura, questo dialogo si intreccia con la musica del cantautore Lelio Morra e con la voce di Italo Calvino. “Tutta mia la città, un deserto che conosco” - interpreta magistralmente il musicista, dopo l'emozionante lettura del racconto di Pentesilea, la città diffusa, che non finisce mai, dove il rischio è l'indifferenza. Si passa ad una breve storia dell'assetto urbanistico delle città, dal cardo e decumano dei Romani, alle forme perfette del Rinascimento, da Ivrea plasmata dalla volontà di Olivetti al villaggio operaio di Crespi d'Adda, dichiarato patrimonio dell'Unesco, fino ad arrivare a Brasilia e Dubai.
La città a quindici minuti
Dalle dissertazioni urbanistiche si passa alle tematiche sociali: il tessuto di ogni città sono gli edifici, i quartieri, ma soprattutto le persone che li abitano. Le distanze non si misurano soltanto in chilometri, ma anche in tempo speso, vissuto e perduto. Analizzando con perizia il rapporto esistente tra gli opposti distanza e prossimità, Maran propone la sua idea di città a quindici minuti, dove lo spazio deve tornare ad essere vivo e partecipato, a misura d'uomo, in grado di intercettare e soddisfare i bisogni dei cittadini. “Ognuno deve poter trovare la sua dimensione. Bisogna valorizzare le identità e al centro deve esserci l'individuo. La tecnologia ci sta cambiando, ma essa è uno strumento, non il fine”. Molteplici sono i filoni di indagine, che collegano la comprensione del passato con le visioni del futuro e che parlano di impegno consapevole, di sfide da affrontare, come l'inquinamento, per esempio da polveri sottili, o le disparità sociali, sempre più accentuate.
La megalopoli padana
“La Pianura Padana è una grande area urbana interconnessa. Ormai i territori agricoli sono aree interstiziali”. Con queste parole, che, nella loro evidenza, suonano quasi come una provocazione Maran affronta un altro tema di rilievo: gli insediamenti umani, artigianali ed industriali sono interconnessi, solo in quest'ottica appare possibile risolvere le criticità della mobilità extraurbana, dello spopolamento di alcune aree in favore dei centri urbani sovraffollati, del consumo di suolo. E' necessario ripensare servizi circolari, condivisi, uscendo dalle logiche campanilistiche, come suggerito ancora una volta da Calvino con Olinda, la città che si dilata in cerchi concentrici.
A Crema il verde è più verde
C'è anche il tempo di offrire ai numerosi presenti un breve intervallo, dedicato a Crema: Maran dialoga con il prof. Vincenzo Cappelli, presidente della Proloco, che tesse con affettuosa dedizione le lodi della città, distesa sul fiume Serio: “Questo è un territorio dove il verde è più verde. Si può attraversare la città in bicicletta. La città è slow, emana serenità. Questa è la percezione dei turisti, che sono venuti a visitarla da 62 paesi diversi”. Si riprende il viaggio, ancora una volta tra le suggestioni delle pagine calviniane, la canzone di Cesare Cremonini Buon viaggio (Share to love) e le proposte concrete del politico milanese, presentate con schiettezza ed entusiasmo da chi dimostra di amare la politica del fare, dell'innovare per trovare soluzioni nuove a problemi sempre diversi e in divenire. Chiudono la serata gli arpeggi della chitarra e le strofe della canzone, scritta ed interpretata da Lelio Morra: “La passione non ha compromessi. Servirà crederci anche quando il mondo crollerà o il traguardo sembrerà lontano”. Con questa consapevolezza il pubblico lascia la sala e con la soddisfazione di aver assistito per una volta ad un modo di fare politica spettacolare, nel senso più alto del termine, e non tramite spot e scoop, che recano in sé molta propaganda, ma poca sostanza.