31-03-2020 ore 13:10 | Cultura - Teatro
di Chiara Grossi

Celestini e il Novecento visto dalle finestre di una Fabbrica, baricentro del 'nuovo mondo'

Una fetta della storia del Novecento vista attraverso le finestre di una fabbrica, nella quale si annodano, si intrecciano e si perdono tra loro le vite di tre generazioni legate a questo luogo di lavoro, di cambiamenti sociali, di compromessi, di rivolte e di delusioni. Fabbrica è uno spettacolo per la mente e l’ascolto presentato nel 2002 da Ascanio Celestini. Lui, il narratore, sta dettando a se stesso una lettera per la cara madre, quell’unica lettera mancante che non è riuscito a scriverle in cinquant’anni di scambi epistolari. In quella precisa lettera, l’operaio sventra la vita della fabbrica in cui è capitato a lavorare per caso, quasi per errore e che, ciononostante, appare come il baricentro del mondo.

 

Storia circolare e concentrica

Nella narrazione che prende il ritmo di un delirio febbrile, Celestini comprime il tempo, lo accartoccia tra le mani e lo plasma attraverso le forme degli operai, dei padroni, dei loro figli, dei figli dei loro figli, di tutte le persone che gravitano intorno alla fabbrica e ne respirano l’aria. E come la storia, il testo si segue e si insegue, si ripete nel vortice delle parole che fanno a gara per arrivare al segno perché hanno fretta di raccontare la storia circolare e concentrica, che si ripete nei nomi, nella vita e nella morte, nei versi di ritornelli amaramente scherzosi.

 

Nel centro del mondo
Il corpo di Celestini appare contratto, come se le parole che fluiscono dalle sue labbra gli volessero rubare la scena; eppure, le sue mani, con movimenti appena accennati, disegnano chiaramente ogni pertugio, ogni angolo della fabbrica, ogni volto di chi vi ha posato lo sguardo. Questa lettera porta con sé tutto il peso dei cinquant’anni vissuti in Fabbrica, la cui ombra, come un arto fantasma, continua a perpetrarsi nella memoria di chi l’ha vissuta, a volte come una danza, altre come un macigno. E la narrazione di Celestini, cruda, popolare, di denuncia e allo stesso tempo infinitamente poetica, ne celebra la vita, trasportandoci nel suo nocciolo più profondo, nel centro del mondo dove tutto accade che fu, è e sarà la Fabbrica. Questa recensione è frutto del lavoro dei partecipanti al laboratorio Intrecci+, finanziato da Fondazione Cariplo

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