29-10-2021 ore 18:33 | Cultura - Arte
di Sara Valle

Colori, luci e lettere: Fontana spiega Amos Nattini tra le pagine della Divina Commedia

“Prima di lui nessuno aveva mai realizzato libri d'artista sulla Divina commedia”. Amos Nattini è stato “un artigiano lontano da qualsiasi percorso imitativo”. Lo definisce così Edoardo Fontana, curatore con Chiara Nicolini della mostra Un viaggio lungo settecento anni. Immagini per la Divina commedia. Allestita presso la pinacoteca del museo civico di Crema, gode del contributo di varie università (Pavia, Statale e Cattolica di Milano, Firenze). Sarà visitabile fino al prossimo 9 gennaio. Le Imagini per la Divina Commedia nascono nella mente di Nattini negli anni '20 a Genova. Vedono la luce solo nel 1931, pubblicate dall'Istituto nazionale dantesco, seguite dal Purgatorio nel 1936. Vent'anni di lavoro per prendersi cura di ogni dettaglio. “Voleva lasciare il segno. Nattini aveva pensato a tutto: testi, carattere, carta, colori, riproduzione delle immagini, impaginazione. Non aveva lasciato nulla al caso: doveva essere un'opera straordinaria”. Come si legge tra le pagine del catalogo: l''idea “pose le Imagini a capostipite di tutti i cicli illustrativi del secondo Dopoguerra”.


Libro d'artista

La concezione della pagina doveva cambiare: non era un confine, un limite. Piuttosto un tutt'uno con l'opera. L'arte non era solo arte. Non era solo estetica: “era il riflesso della sua personalissima visione, con cui ha tentato di distinguersi dal passato”. Non ci è riuscito fino in fondo: prendeva ad esempio Gustave Dorè e la tradizione tardo ottocentesca. Non aveva uno stile statico: “è passato dal Simbolismo al Realismo degli anni '30”. Balza all'occhio “il desiderio di far emergere il suo modo di vedere le cose”, in un campo nuovo, quello del libro d'artista, attraverso l'attualizzazione del racconto. Ripreso da Bruno da Osimo, pur con una maggiore essenzialità nel disegno, per le sue “ardite inquadrature”, Nattini ha tentato un'impresa, raccolta negli anni '50 da Salvador Dalì con acquerelli e tecniche post surrealiste.

 

Arte e quotidianità

La mostra proposta a Crema “rende palese lo sviluppo di un artista divenuto uno dei più grandi dell'epoca in poco tempo”. Non solo, ne racconta i legami, i successi, gli insuccessi, l'etica, il contesto sociale. Fontana spiega di aver cercato di far emergere “come il meccanismo creativo si legasse alla quotidianità, ai processi economici. Oltre alle opere artistiche, ho analizzato libri, disegni originali e documenti inediti. Ogni mia attività di ricerca è mossa dalla convinzione che la personalità di un individuo sia sempre più importante delle mode. Ho voluto capire chi fosse Nattini, ho rovistato tra le sue carte: l'ho fatto diventare mio amico”. Fondamentale in tal senso l'apporto del fondo Nattini a Collecchio e quello acquistato dalla biblioteca civica di Crema sulla corrispondenza tra l'artista e l'avvocato cremasco Rino Valdameri ed altri personaggi dell'epoca.

 

Il rapporto con Valdameri

“Nattini dice di aver imparato a disegnare osservando gli operai al porto di Genova”. Studente della Scuola di nudo della città ligure, non ha mai ottenuto certificazioni, ha imparato dal maestro, dipingendo modelli dal vero e frequentando le sale anatomiche dell'ospedale per apprezzare i corpi nella loro fisicità reale. A Genova ha conosciuto l'avvocato cremasco Valdameri: “un personaggio in vista già nel periodo dell'università. Poi un politico importante nel periodo fascista. Appassionato di arte, si è presto circondato di critici ed artisti”. Nattini era tra questi: Valdameri è stato anche il finanziatore della Divina Commedia. “Secondo un promemoria l'opera illustrativa ebbe inizio il 15 dicembre del 1920”. Per Valdameri l'arte di Nattini era solo un mezzo per emergere a livello sociale. Passata la notorietà, la relazione d'amicizia finì davanti all'avvocato Camillo Giussani, chiamato ad intervenire per dirimere questioni sul compenso dovuto e la titolarità dei diritti. Al tema sarà dedicato un convegno, in programma domani, sabato 30 ottobre, alle ore 15 in sala Da Cemmo.

 

Una personalità scolpita

Nattini non è solo tecnica. L'uso magistrale della luce, si mischia al costume; i colori alle trasparenze. Fino ad un crescente realismo “pieno di segni e sovrapposizioni”. L'arte cambia, “ma non troppo”. Si adatta, “non supera la tradizione fino in fondo”. Resiste“l'approccio, la volontà di indagare”. Di indagarsi. “Di lasciare il segno”. Ché, come scriveva Ugo Ojetti “illustrare Dante significa per un artista, se è artista, illustrare prima di tutto se stessi, la propria anima, fede, gusto, poi quelli del tempo in cui vive e poi forse alla fine illustrare Dante”.

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