28-04-2014 ore 19:48 | Cultura - Storia
di Andrea Galvani

“Giustizia e vendetta”, nel volume di Renato Ancorotti e Tiziano Guerini, un inedito sguardo sull’aprile del 1945 a Crema

“Il conto è pareggiato, la giustizia forse no”. Così scrivono Renato Ancorotti e Tiziano Guerini nell’interessante volume Giustizia e Vendetta, aprile 1945 a Crema, (edizioni Leva Artigrafiche), che sarà presentato mercoledì 30 aprile, alle ore 21, nella Sala dei Ricevimenti del Comune di Crema. Ai presenti sarà donata una copia del libro.

 

L’epoca dei fatti

La storia, 140 pagine circa, con documenti, immagini truci e alcuni inediti, è raccontata al presente da P.R. un cremasco ora in casa di riposo che all’epoca dei fatti – dicembre 1943 - torna da Caserta a casa, a Capergnanica; dopo lo sbarco degli Alleati lascia i camerati fascisti, segue 'in parallelo' il percorso dei liberatori, tra le rovine di un’Italia stravolta dal conflitto mondiale. Una storia terribile ma avvincente, ricostruita con l’aggiunta sapiente di interviste ad ex deportati, dal diario di don Ferdinando Mussi, da saggi e quotidiani, quali Libera Parola.

 

Ancora miseria

Arrivato a casa per la fine del 1944, dopo essere passato da Roma liberata a giugno, non recupera pace e calore, ma ancora miseria e fame; trova posto in un angolo della stalla condotta dal padre, un luogo sin lì utilizzato come ricovero per gli attrezzi, con una balla di fieno per tavolo ed i fantasmi della guerra a fargli compagnia. Torna a vivere in una terra in cui persino un luogo sacro come il convento della Divina Provvidenza (l’odierno istituto delle suore del Buon Pastore), all’epoca estrema periferia, era stato trasformato in luogo di prigionia e torture, arrivando a contenere fino a 500 persone.

 

Il rastrellamento fascista

L’estate precedente, nel luglio del 1944 la città era stata costretta a subire il rastrellamento fascista, con una trentina di deportati in Germania dalla caserma Renzo Da Ceri, l’odierno Sant’Agostino, sede del museo e della biblioteca, all'epoca ennesimo luogo deputato al crimine. La sua fede nel partito, nella patria, è ormai ridotta all’osso. Il narratore è costretto a vivere in clandestinità per non essere riconosciuto e subire le ovvie conseguenze delle scelte passate. Crema non era un luogo sicuro per nessuno, men che meno per gli ex fascisti come lui.

 

Bombardamenti e uccisioni

Esattamente 69 anni fa – il 28 aprile del 1945 - l’area della Divina Provvidenza venne bombardata dagli inglesi: videro una colonna di camion tedeschi, ma non sapevano che i mezzi erano stati sequestrati dai partigiani.  Sono giorni di sangue: le Brigate Nere uccidono Renzo Pirotta al Pergoletto, la sera del 27 aprile Francesco Follo, volontario partigiano, viene assassinato da soldati tedeschi in fondo a via Carlo Urbino; sempre nella stessa zona, all’incrocio con via Milano, qualche ora prima viene ucciso con un colpo di baionetta anche Antonio Festari. Gli aguzzini sono sempre tedeschi.

 

Quattro fascisti fucilati

E’ in questo clima che il 29 aprile del 1945 al campo sportivo, lo stadio Voltini di viale De Gasperi, vengono fucilati alle spalle quattro fascisti; l’esecuzione avviene a porte chiuse, con i ragazzini arrampicati sul muro dello stadio per sbirciare. Chi erano? Clorinda Boffelli, Eugenio Carniti, Alfredo Della Torre, Manlio Rovescalli. Le loro colpe, visto che non si trova traccia della sentenza? “Certamente – scrivono Ancorotti e Guerini – erano noti come esponenti del fascio locale, indicati come responsabili della compilazione di elenchi di avversari politici, forse anche di qualche gesto di violenza; certamente non i maggiori responsabili delle azioni più inaccettabili del fascismo che invece, in un modo o nell’altro, riuscirono ad evitare il peggio”.

 

L’ordine di esecuzione

Chi decise l’esecuzione? Perché proprio quelle quattro persone? Solo “per pareggiare il conto” con i quattro patrioti – Gaetano Paganini, Luigi Bestazza, Ernesto Manfredini, Antonio Pedrazzini - fucilati dai fascisti il 29 novembre del 1944 nello stesso campo sportivo, l’attuale Voltini?

 

La ferocia dei sentieri interrotti

Nessuna volontà di riscrivere la storia o negare i valori della resistenza, spiegano gli autori; “ora – sostengono – è il momento non della equidistanza, ma della umana comprensione per tutti i protagonisti. Solo così, tornando sui sentieri interrotti, le ferite si chiudono”. L'occasione è ghiotta per aprire una discussione in materia, del resto il volume lascia ampi spazi al dibattito. Dopo la presentazione pubblica torneremo senz'altro sull'argomento.