27-09-2014 ore 18:36 | Cultura - Storia
di Luigi Dossena

Historia et imago Cremae. Eventi e fatti d’arme della battaglia di Ombriano del 1514: gli eserciti più potenti d’Europa combatterono nel cremasco

Il 29 giugno 1509 il re di Francia Luigi XII, dopo avere vinto la battaglia di Agnadello e avere soggiornato in Crema per due giorni, lascia la città, lasciando il governo a Giovanni Duras. Il  governatore francese non riesce a sedare le discordie fra Guelfi e Ghibellini cremaschi e con un atto di imperio, ordina la consegna delle armi. Nel frattempo Bernardino Bonzi, barcaiolo cremasco, viene preso in flagrante mentre trasportava armi sulla sua imbarcazione nelle acque del territorio e le conduceva sino a Venezia. E Socino Benzoni, che militava per il re di Francia, viene preso a Montagnana e decapitato nel 1510.

 

Scaramucce mordi e fuggi

Ben presto però l’astro francese in Italia tramonta ed il Leone di San Marco torna a rialzare il capo, le ali e la coda: chiude il libro e impugna la spada. Crema e pochi altri centri fortificati rimangono ai francesi in previsione di un assedio e Duras, temendo di non essere in grado di resistere per mancanza di cibo, fece cacciare fuori dalla città tutti i cremaschi dai 15 ai 60 anni. In Crema quindi non rimasero coi francesi e le poche truppe di difesa che le donne, gli infanti e gli anziani. I cremaschi, armati e inquadrati militarmente, dopo avere ricevuto rinforzi dai veneziani si trincerarono a Montodine; quando i francesi uscivano dalle mura per depredare i villaggi li attaccavano con scaramucce mordi e fuggi. Alla fine i cremaschi presero coraggio e da Montodine si spostarono in arme sino a Ombriano.

 

Renzo da Ceri e l’assedio

Lì acquartierati iniziarono l’assedio e  dopo vari conciliaboli decisero di accelerare le azioni belliche: formarono un direttorio di guerra, imposero una tassa di un soldo e mezzo per ogni pertica su tutti i terreni del cremasco per avere il denaro per pagare dei mercenari. Perciò assoldarono dei fanti bergamaschi e degli archibugieri della Val Trompia, quindi si organizzarono con due accampamenti: uno a Ombriano e l’altro a San Bernardino, inoltre costruirono due ponti in legno sul fiume Serio. Contro i francesi avevano preso le armi i contadini di tutto il cremasco accampandosi a Campagnola Cremasca capitanati da un frate francescano di nome Agostino Gigliolo. Fu in quel frangente che la Serenissima, vista la gravità, inviò ai cremaschi nelle operazioni militari un capitano di casa Orsini: Renzo da Ceri. Renzo giunto in loco prese subito il comando e fece erigere due bastioni: uno a porta Serio presso la strada che porta a Offanengo, l’altro sulla riva destra del Trevacone dirimpetto a porta Ripalta e fece intensificare l’assedio. Ben presto la guarnigione francese si trovò alle strette, ma il cremasco Guido Pace Bernardi, parteggiando per i transalpini, sobillava il governatore Duras a stringere i denti e ad opporre resistenza ad ogni costo: resistere, resistere, resistere.

 

L'accampamento

Trattative segrete

I cremaschi si divisero in fazioni, quando fra gli spalti intramoenia si consumò una tragedia: Benedetto Crivelli, uno dei comandanti della guarnigione francese, uccise il suo pari grado Gerolamo da Napoli. Il Crivelli voleva trafficare in proprio per soldi e per vanagloria la resa della città, infatti era in trattative segrete sia con Renzo da Ceri che col Duca di Milano. Alla fine combinò con il comandante Renzo da Ceri che il 9 Settembre 1512 tenne fede alla sua fama entrando in Crema in nome e per conto della Serenissima. I francesi a gambe levate uscirono dalla città. Quello stesso giorno, Santo Robatto, un cremasco al soldo del Duca di Milano giungeva a Palazzo Pignano con 10.000 soldati svizzeri. La fiumana si accampò fra i cascinali di qua e di là del fiume Tormo presso Scannabue, lungo le rogge Acquarossa e Alchina. Avrebbero dovuto entrare in Crema, secondo gli accordi stipulati con il capitano Crivelli e il vescovo di Lodi, ma avvisati che i veneziani di Renzo da Ceri li avevano preceduti si fermarono ipso facto tra Palazzo Pignano, il Tormo, Pandino sin oltre il fiume Adda, impossessandosi di villa Marazzi di Palazzo Pignano.

 

Crema torna veneziana

E fu così che Crema ritornò veneziana nel breve torno di tempo, ma la bramosia, la sete di potere, si sa, non ha limiti. Il Doge, d’accordo con il senato veneziano, volendo riconquistare le terre perdute della ricca Lombardia, cioè Brescia, Cremona e la Gera D’Adda, indicando Crema quale centro nevralgico per le operazioni militari, inviò un poderoso esercito affidato in toto al comandante generale Cavalier Renzo da Ceri. Per i cremaschi la situazione logistica ed economica era oramai giunta a livelli insostenibili. Tutto il peso degli eserciti e delle soldataglie gravava non soltanto su Crema, ma anche sul territorio cremasco, i paesi, i villaggi, i cascinali venivano requisiti di tutto, dalle scorte alimentari, al fieno, alle granaglie e al bestiame, tutto insomma quello che serviva ai comandanti militari nemici, come agli alleati, per sfamare uomini e animali e tutto quello che occorreva per rendere vivibile un accampamento di decine di migliaia di persone.

 

Gli eserciti

Nel territorio vi erano in azione gli eserciti veneziani, francesi, milanesi, svizzeri e tedeschi, più i mercenari italiani, a loro si aggiunse un altro esercito in arme, quello spagnolo: un vero disastro, un guazzabuglio strategico, diplomatico, militare con alleanze strette lontano nelle corti d’Europa e rotte allo stormir d’ogne foglia di un principe o di un re con la “voglia”. I cremaschi cercando di alleggerire il peso delle truppe da sfamare offrirono quattro compagnie di uomini detti terrazzani, letteralmente lavoratori della terra, in tutto 1000 uomini in cambio di altrettanti soldati da allontanare. Renzo da Ceri accettò l’offerta, ma dettò le condizioni: accettava sì i 1000 contadini cremaschi da arruolare nel suo esercito, ma tenendosi ben stretti tutti i suoi uomini.

 

Venezia si allea con la Francia

E si giunse nel 1513. Colpo di scena – si fa per dire- Venezia si alleò con la Francia e Renzo da Ceri si adeguò – sic! L’esercito francese con alla testa Luigi XII, varcate le Alpi, si scontrò con l’esercito spagnolo presso Novara e con la coda fra le gambe ritornò in Francia spalancando di fatto le porte al dominio spagnolo sulle nostre terre guidato dal vicerè Cardona. Renzo da Ceri si rifugiò in Crema con il suo esercito e non si arrese agli spagnoli. Da Crema quotidianamente lanciava drappelli di soldati in scorrerie sul territorio per fiaccare il morale del nemico e per appropriarsi di vettovaglie. In quel frangente Crema non era più una città, era una bolgia infernale ridotta a piazza d’arme. I soldati, i mercenari trafficavano con gli strumenti da guerra. Riparavano  e costruivano nuove armi dai falegnami, dai conciatori, insomma un po’ da tutti gli artigiani, si facevano approntare quello che serviva per i combattimenti. Oltre all’endemica mancanza di cibo e alla penuria di denaro, dilagò fulminea la peste, precisamente era giugno del 1513: il morbo iniziò a mangiare le carni e durò un intero anno. I cremaschi si rivolsero a San Rocco ed innalzarono una chiesetta in segno di prostrazione e devozione in via Verdi, all’imbocco di via Ponte Furio.

 

Da Ceri prepara la difesa

E siamo a maggio 1514. Giunse a Crema Prospero Colonna al comando di soldataglie spagnole (circa 300 persone) e comincia l’assedio di Crema a tenaglia. Con Prospero Colonna si accampa fuori le mura venete appena ultimate il comandante degli sforzeschi Silvio Savello. Mentre altri trecento soldati spagnoli piantarono le tende ad Offanengo e gli sforzeschi  si posizionarono a Ombriano. Giunge a dar manforte il comandante militare Cesare Ferramosca con soldati e cavalleria e si posizionò alla torre di Pianengo. Crema così è accerchiata dai tre lati. Renzo da Ceri prepara la difesa, fa abbattere tutte le case, i mulini e tutti gli alberi che sorgevano tra Crema e Santa Maria della Croce per avere campo libero per la sua artiglieria. Dà ordine ai suoi soldati di occupare la basilica di Santa Maria della Croce costruita 20 anni prima, la fece fortificare a tal punto che era praticamente inespugnabile.

 

Scorrerie nel territorio cremasco

Renzo da Ceri fece murare le porte, tutt’attorno scavò fossati e terrapieni su cui fece infilare nella nuda terra pali e travi, in quel vacuo, che è fin dentro e in fondo alla basilica. Al fine che se gli assedianti fossero riusciti a entrare nel sacro tempio non si potessero nascondere né riparare dai colpi dei cremaschi posizionati sulla sommità della chiesa. Fece murare la cappella grande e per un usciolo si entrava nella sotterranea cappella ove, fatto un buco nel volto si ascendeva con una scala di mano nella cappella di sopra. Là vi era una scala a chiocciola che portava alla sommità dove strategicamente Renzo da Ceri aveva posizionato 40 archibugieri a raggiera. Crema fu rinforzata dall’artiglieria presso il castello. Cesare Ferramosca tentò invano di prendere la basilica, la assediò ripetutamente ma fu sempre respinto. Gli assedianti intanto continuarono nelle loro devastanti scorrerie sul territorio cremasco depredando i raccolti ancora nei campi, nelle cascine e nei cascinali e incendiando tutto nel territorio di Montodine e Camisano, mentre le truppe sforzesche occuparono tutte le case di Offanengo e di Ombriano.

 

La peste. Sopra a destra il doge

La peste

Contadini cremaschi presi dal terrore fuggirono in massa dai villaggi e si ripararono con tutto il bestiame sotto le mura di Crema ove formarono capannucce di paglia. Era una calca vicina alle 36.000 persone , di conseguenza furono facile preda delle pestilenze che ammorbavano l’aria, le acque, le case. In quei 14 mesi i miasmi del morbo si presero ben 16.000 vittime, si calcola che nei mesi estivi morissero di peste 100 persone al giorno. Molti fra i più facoltosi cremaschi fuggirono a Piacenza, Lodi,etc. Siamo ora all’agosto 1514. Renzo da Ceri trovandosi senza denari per le paghe dei soldati si impossessa dei tesori del monte di Pietà e della Basilica di Santa Maria della Croce. In più fa battere moneta del valore di 15 soldi milanesi. Il popolo le chiamò in senso di spregiativo petacchie  letteralmente patacche, ma servivano anche alla loro causa, alla causa della libertà.

 

L’ultima disperata mossa

Crema e i cremaschi oramai erano pronti alla resa, ma Renzo da Ceri tenta l’impossibile, l’ultima mossa: guidato dalle sue indubbie capacità strategico-militari e dalla buona sorte. I fatti. 25 Agosto 1514, notte alta, Renzo da Ceri fece uscire da Crema i suoi uomini dividendoli in gruppi comandati dai suoi veterani: il capitano Andrea Matria fu messo alla testa di 700 fanti e 400 contadini, tutti bene armati si incamminarono verso la palude dei Mosi. Antonio Pietrasanta e Baldassarre da Romano alla testa delle loro compagnie prendono la strada dei Sabbioni ove i nemici assedianti avevano un bastione presso la chiesetta di San Lorenzo. Giacomo Micinello con 100 cavalleggeri si diresse verso Capergnanica. Renzo da Ceri col podestà Contarini rimase a Porta Ombriano e diede ordine di posizionare molti uomini armati fuori da porta Serio dove avrebbero dovuto fronteggiare i soldati spagnoli di Prospero Colonna che sicuramente sarebbe accorso in aiuto del capitano Sivio Savello e delle sue truppe sforzesche.

 

Assalto al campo nemico

Il capitano Andrea Matria aveva ricevuto da Renzo da Ceri l’incarico importante e più pericoloso della spedizione. Poco dopo mezzanotte aggirarono le paludi del Moso passando Cremosano, Trescore, Scannabue e Palazzo Pignano e intorno a Bagnolo e così d’infilata silenziosissimi sotto la biancastra e piena luce della luna lungo la strada che da Lodi porta a Crema giunsero a Ombriano, prendendo così alle spalle gli sforzeschi ignari e dormienti nel loro accampamento. Gli uomini del veterano Matria furono così abili e silenziosi che eliminarono tutti gli ordini di sentinelle senza destare allarme, portandosi sotto la torre di Ombriano quindi, con un ordine fulmineo assaltarono il campo nemico con armi e fiaccole in pugno. Fu un bagno di sangue per gli sforzeschi, uccisi e bruciati nelle loro tende.

 

Il capitano di ventura

Acque rosso sangue

Gli assedianti svizzeri capitanati da Santo Robatto, un cremasco al soldo del Duca di Milano, coi suoi 1000 lanzichenecchi acquartierati aldilà della Roggia Alchina e aldiquà del fiume Tormo fra Palazzo Pignano e Scannabue, a differenza degli sforzeschi, riuscirono a parare il colpo della sorpresa notturna tenendo testa combattendo e respingendo ogni assalto. Furono sopraffatti solamente quando giunsero i rinforzi cremaschi. All’alba si vide una scena orribile: le acque rosseggiavano di sangue, cadaveri ovunque. Prospero Colonna fu preso alla sprovvista e non riuscì a soccorrere con le sue truppe gli alleati. La voglia dei cremaschi di tornare a casa propria, sia in città che nei villaggi era immensa e fu così “che tutta Crema - scrissero gli storici – andò a Ombriano” per vedere il campo di battaglia principale: San Lorenzo. I cronisti descrissero quei fatti, rimarcando canti a squarciagola, grandi bevute e cibo per tutti.

 

Termina l’attività guerresca

Tanta gente seduta in mezzo alle tende distrutte fra i corpi ancora caldi e nemici sparsi ovunque, tedeschi, svizzeri, spagnoli e sforzeschi. Nel delirio per la fine dell’assedio, Renzo da Ceri fu portato in spalla e in trionfo in giro per il campo di battaglia. Presi dall’euforia si erano quasi dimenticati della peste che però aveva cominciato a mollare la ferale morsa e che di lì a poco scomparve. In segno di riconoscenza i cremaschi votarono una processione in perpetuo ogni anno il 26 agosto. Voto che fino a metà del ‘900 si osservava con l’annuale processione in Duomo a Crema.

 

La processione di San Severino

Fu chiamata la processione di San Severino perché quel giorno era dedicato a San Severino. Renzo da Ceri in segno di riconoscenza appese in Duomo tre stendardi della Beata Vergine presi agli sforzeschi e quattro pezzi di artiglieria. Con la battaglia di Ombriano termina la plurisecolare attività guerresca del popolo cremasco che fino all’avvento dell’astro napoleonico visse in pace, protetto sotto le ali del leone venetico. Scrisse Ludovico Antonio Muratori “la battaglia di Ombriano fu il più clamoroso fatto d’arme avvenuto in Italia nel 1514”.

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