27-07-2020 ore 17:30 | Cultura - Crema
di Gloria Giavaldi

Crema. Un viaggio tra i grandi incipit della letteratura, per salvare le parole dall'oblio

Una serata di inizi a CremArena. Tradizionali, innovativi, vecchi, nuovi. Sempre vivi. 'Chi ben comincia, gli incipit della grande letteratura italiana', il titolo del terzo appuntamento dell’ottava edizione de 'I Manifesti di Crema' è tutto un programma. Vi è poco da aggiungere. Anzi, proprio nulla. Protagonisti assoluti sul palco, insieme ai giornalisti Fabio Canessa e Giovanni Bassi e al pianista Enrico Tansini, sono gli incipit e le parole. Che a volte divertono, a tratti insegnano. Ma sempre salvano.

 

L’inizio degli inizi

Si parte dall’inizio degli inizi. Apre le danze il Decameron di Giovanni Boccaccio con le sue 100 novelle di “amori, tragici e comici, denaro, commercio, donne, caso e caos”. Dopo il lockdown causato dalla peste del 1348, “la letteratura per Boccaccio deve divertire, soprattutto le donne che si svagavano meno”. I suoi racconti segnano “l’inizio della letteratura italiana in prosa” con l’obiettivo di strappare sorrisi e riempire istanti.

 

Caos, ordine e semplicità

La musica, poi, suggerisce un cambio di passo. Si parla di politica e di storia con Il principe di Machiavelli per il quale la letteratura deve “mettere ordine” ed essere funzionale alla politica stessa. “Storia e politica – continua Canessa, secondo Machiavelli – hanno il compito di arginare il caos”, perché ciascuno “può costruire la regia della propria vita”. Anche grazie alla letteratura. Proseguendo, si inciampa poi nel “romanzo della provvidenza”: I promessi sposi di Alessandro Manzoni “con cui l’autore vuole spiegare, a partire da fatti reali, perché esiste il male nel mondo. Manzoni pensa che il mondo non vada a caso, ma ci sia un’indicazione dall’alto”. E, allora, come nel suo incipit, “è dall’alto che bisogna cominciare a vedere le cose”. Cambia, poi, il punto di osservazione con I Malavoglia di Giovanni Verga. Si parte dal basso, si vive orizzonti “chiusi tra due zolle di terra” in posti sperduti, raccontati senza filtri con le parole di chi li abita. Poi la critica si spacca sul Pinocchio di Collodi, un personaggio eterno ed universale. Per tutti.

 

Inetti e dandy

Dalla fiaba alla crisi di valori, però, il passo è breve. Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello spalanca le porte al dubbio, alla perdita d’identità e, soprattutto “all’impossibilità di oltrepassare i limiti”. Per Pirandello non c’è alternativa alla famiglia, al lavoro, alle convenzioni: “La vita è assurda”. Però c’è l’arte che salva, l’arte che vince sulla vita. Ne sa qualcosa Andrea Sperelli, il protagonista de Il piacere di Gabriele D’Annunzio, nonché, appunto, “spettatore della vita e culture dell’arte”. Tuttavia, “la vita si vendica con chi non la vive”. E allora per gli “esausti dandy” vi è un’unica strada: “vivere la vita come un’opera d’arte”.

 

Salvare le parole

Un viaggio breve, tra stili diversi, per riflettere sulla forza degli inizi. Così diversi, così incompresi. Così contestati. Pieni di ironia e polemica, come nel caso di Palazzeschi, di solitudine, come nel caso di Pavese, di realismo, erotismo e fisicità, come nel caso di Pasolini. Comunque lo si voglia, insomma, l’inizio è sempre l’inizio. E merita sempre di essere scritto. Anche quando si tratta di Racconti impossibili. Chiude con il testo di Tommaso Landolfi, Canessa, “un esercizio di stile polemico” da parte di un autore che “soffre per la morte delle parole ferme nel vocabolario e che scrive racconti per farle tornare a vivere”. Chiuse, segregate, silenti, le parole, in realtà, non muoiono mai. “Salviamole dall’oblio” chiude Canessa. Perché, davvero, non se lo meritano.

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