27-01-2021 ore 13:25 | Cultura - Incontri
di Paolo Balzari

'Scomparivo come persona ed ero solo un numero'. L’Anpi ricorda Gianfranco Mariconti

Oggi celebriamo il ricordo, il sacro ricordo di milioni di donne e uomini vittime della follia di Hitler e del nazismo, che avevano creato un vero e proprio sistema di eliminazione dei malati di mente, degli handicappati, degli oppositori politici, degli ebrei, dei ‘soggetti asociali’, di zingari, omosessuali, delle razze inferiori. Un sistema finalizzato alla creazione di un nuovo ordine europeo governato da una ‘èlite di pura razza ariana’. Un sistema finalizzato al genocidio, che si è avvalso della collaborazione dei regimi fascisti e collaborazionisti europei. Oggi celebriamo il ricordo. Lo facciamo oggi 27 gennaio. Data eletta a partire dal 2001 a simbolo dell’olocausto, che si è consumato in migliaia di campi di concentramento e di sterminio costruiti in tutta Europa. Lo facciamo con l’impegno a diffondere e far vivere la memoria fra le generazioni per dare forza ai valori della nostra Costituzione, per una società giusta, contro ogni tipo di violenza, di sfruttamento, di emarginazione, di razzismo. Non dimenticare, ricordare quell’immane sacrificio, ricordare che dietro quelle parole - “il lavoro rende liberi” - che hanno accolto milioni di uomini, donne, bambini, anziani, all’arrivo nel campo di Auschwitz, c’era il vilipendio del valore morale della storia dell’uomo.

 

I testimoni

L’Anpi di Crema celebra questa giornata della memoria con il ricordo di un uomo, un caro amico, che di quelle vicende ne è stato testimone: Gianfranco Mariconti. Tutti noi dell’Anpi di Crema siamo legati a lui con sentimenti di profonda amicizia e riconoscenza, Gianfranco è stato con Leonardo Podio l’uomo che ha posto le basi per la costituzione della nostra sezione dell’Associazione nazionale partigiani italiani. Gianfranco ci ha lasciati 10 anni fa, tutta la sua vita, il suo impegno come cittadino la sua onestà, i suoi modi gentili sono stati per tutti noi un grande esempio. Non è mai mancato alla celebrazione allo stadio Voltini a ricordo dei quattro partigiani fucilati dai fascisti in quel luogo. Se ne stava in disparte; mi diceva “sono miei coetanei a me è andata bene, sono stato fortunato”.

 

Da san Vittore a Flossenburg

Nel suo libro di memorie scritto su insistenza di Ettore Ongaro, Memoria di vita e di inferno, racconta il suo percorso autobiografico dalla spensieratezza alla responsabilità. Era un adolescente di 17 anni quando si è aggregato a un gruppo partigiano nel varesotto nel settembre 1943 e fino al suo rientro a casa a Lodi nel 1945 ha vissuto esperienze terribili. Ferito in battaglia, arrestato, rinchiuso nel carcere a san Vittore, grazie all’aiuto del fornitore del pane era riuscito a fuggire e a tornare in montagna, con la 49' Brigata. Durante un rastrellamento è stato nuovamente catturato e destinato alla fucilazione. Anche in questo caso l’incontro con un milite fascista di Lodi gli ha consentito “di scambiare una morte certa per una morte dilazionata nel tempo, da deportato nel campo di Flossenburg”.

 

Il triangolo rosso

Nel suo corredo di deportato, un triangolo rosso con al centro la sigla IT e il numero 43699. Da quel momento ebbe a dire: “scomparivo come persona ero un numero”. Negli anni di conoscenza di frequentazioni, Gianfranco mi ha raccontato la fatica enorme del vivere: il freddo la fame, la paura, le umiliazioni, gli orrori visti. Spiegava che ricordare è stato doloroso, ma poco alla volta è cresciuto in lui il dovere, l’obbligo della memoria, del trasmettere ciò che è stato, perché come ebbe a dire Primo Levi, “si sarebbe potuto ripetere”. Anche in Gianfranco c’era questa preoccupazione, c'è sempre stato in lui l’invito a non sottovalutare i pericoli che ancora minacciano il nostro tempo: fanatismo, nazionalismo, fascismo, razzismo, intolleranza. Nei tanti incontri avuti con gli studenti, una volta siamo stati invitati dalla professoressa Carnini al nostro liceo artistico: ai ragazzi e alle ragazze si rivolgeva loro con passione, spiegava cosa fosse stata per lui la Resistenza italiana, il grande contributo dei giovani. Raccontava della deportazione, era convinto che bisognasse parlare con assoluta onestà degli eventi vissuti, parlarne il più possibile. Seppur testimone di fatti terribili non ha mai proferito una parola rancorosa mai una parola di odio. Un giorno mi aveva chiesto di accompagnarlo al nostro cimitero di Crema, dove è sepolto quel tenente fascista che puntandogli la pistola alla testa gli gridava che lo avrebbe ammazzato.

 

Patrimonio di umanità

Se ne è stato li davanti in silenzio a capo chino. Io credo che la sua memoria lucida, che non ha mai dimenticato un nome, una situazione, sia andata a quei tanti volti di compagni conosciuti che nel tempo lo lasciavano, che pian piano non c’erano più e che hanno turbato negli anni il suo sonno. Mi dicevo che un moto di odio, un gesto di rabbia sarebbe stata una reazione giustificata, comprensibile. Così non è stato. Al termine mi disse solo “andiamo”. Credo che l’alto valore della sua testimonianza stia nella lotta di liberazione della Resistenza e che il sacrificio di milioni di donne e uomini debba restare un patrimonio di umanità di idealità che va tutelato, difeso ricordato con forza continuamente. Quante volti mi ha detto: “Paolo devi venire con me a Flossenburg”, ma non mi è mai stato possibile. Non ho ancora avuto l'occasione di visitare un campo, mi hanno detto che al termine della visita c’è una cerimonia, una sorta di giuramento, di impegno alla memoria. Ognuno si prende il nome di un deportato, non sono mai stato in un campo, ma il mio nome ce l’ho e qui oggi rinnovo il mio giuramento: “Gianfranco Mariconti io ti ricordo”. (Paolo Balzari, presidente sezione Anpi Crema).

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