26-02-2022 ore 09:20 | Cultura - Incontri
di Gloria Giavaldi

L'ambasciatore Attanasio nel ricordo del padre: 'aveva il coraggio di cambiare le cose'

“Un costruttore di ponti, un sognatore concreto. Amava le relazioni, più delle formalità. Al doppiopetto preferiva i jeans e la maglietta. Si batteva in prima persona, nonostante il ruolo importante che gli spettava, per aiutare i più deboli. Era convinto che fossimo fortunati e quindi avessimo il dovere di spenderci per chi vive nella povertà”. L'immagine di Luca Attanasio, l'ambasciatore ucciso in Congo esattamente un anno fa durante un agguato terroristico insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci ed al loro autista congolese Mustapha Milambo, è subito chiara dalle parole del padre Salvatore, ospite al teatro san Domenico. L'iniziativa è stata organizzata dal comune di Ripalta cremasca, in sinergia con la fondazione presieduta da Giuseppe Strada ed il comune di Crema. L'inchiesta sulla morte di Attanasio non è ancora chiusa, la verità è ancora lontana. Oggi resta un'unica certezza: il nostro paese ha perso una grande persona. “A prescindere dal ruolo che rivestiva e dal modo in cui è stato ucciso: Luca era una grande persona. Intendeva la diplomazia come l'arte di evitare conflitti armati, di dare parola alle parole e non alle armi”. La voce in questo caso è quella del giornalista Toni Capuozzo. “Non voglio addentrarmi nella vicenda giudiziaria ancora in corso, quel che è chiaro, però, è che sono state compiute tante imprudenze ed irregolarità tali da rendere un caso questa vicenda. Alla base di ogni considerazione vi deve essere una consapevolezza: l'attacco ad un nostro ambasciatore è un attacco allo Stato”.

 

Un vento nuovo

E un attacco ad un modo tutto nuovo di intendere la diplomazia. “Di Luca bisogna continuare a parlare perché rappresenta un modello per le nuove generazioni di diplomatici. O, semplicemente, per i giovani che credono nei propri sogni”. Il padre lo ricorda come un “ragazzo appassionato, ligio al dovere, anche se non amava essere formale in situazioni caritatevoli. Trattava con rispetto chiunque e a chiunque dedicava tempo ed attenzione. Aveva portato un nuovo vento nella diplomazia italiana”. Prima in Marocco, poi in Congo. “In Marocco aveva stravolto il consolato. Aveva spazzato via la vecchia organizzazione. Con nuovi funzionari aveva cambiato radicalmente l'approccio e le modalità. Amava la trasparenza, l'onestà. Non tollerava la corruzione”.

 

Bisogno di verità

Credeva fortemente in ciò che faceva. “Al punto da lasciare un lavoro certo, dopo la laurea in economia alla Bocconi, per intraprendere la carriera diplomatica. A posteriori ci ha dimostrato che credere nei propri sogni non è mai sbagliato: Luca era il nostro orgoglio”. La dolcezza del ricordo di un padre si mischia alla rabbia per quanto accaduto e per il silenzio omertoso che ancora aleggia intorno alla vicenda: “Come genitori stiamo vivendo una tragedia che non avrà mai fine. Abbiamo bisogno di verità: il Pam (Programma alimentare mondiale, responsabile della sicurezza del convoglio sul quale viaggiava Attanasio, ndr), deve spiegare perché non ha garantito le dovute tutele al nostro ambasciatore”. In questa situazione anche le nostre istituzioni devono fare di più: “il governo italiano deve fare di più, lo Stato non può chinare la testa davanti ad organizzazioni internazionali: ne va della dignità del nostro paese”.

 

I progetti per un mondo migliore

Sullo sfondo le immagini raccontano Luca nel suo impegno quotidiano per i più deboli. Ci sono i sorrisi, gli sforzi ed i progetti condivisi con la moglie Zakia Seddiki: “insieme avevano creato un'associazione, Mama Sofia, per la formazione, l'educazione e la cura dei più piccoli non solo dal punto di vista scolastico, ma anche sanitario. Ora l'attività continua grazie a Zakia. Poi Luca si documentava, studiava il territorio dove lavorava: aveva elaborato per la Farnesina un progetto di sviluppo per l'area subsahariana. Rappresenterà un modello oggetto di studio per le prossime generazioni di diplomatici”. Luca era un esempio: il suo nome oggi spicca nella sala destinata agli esami per i futuri ambasciatori: “è segno di speranza”. Oggi resta il ricordo e una grande sete di giustizia, oltre il silenzio e l'omertà: “senza verità non si avrà giustizia”.

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