25-03-2023 ore 20:10 | Cultura - Libri
di Paolo Emilio Solzi

L’intellettuale George Steiner individua in un libro i cinque pilastri dell’identità europea

Nel piccolo ma notevole libro Una certa idea di Europa (Garzanti, 2019), magnificamente tradotto in italiano da Oliviero Ponte di Pino, l’intellettuale francese George Steiner non parla dell’Unione Europea, ma del nostro continente e della sua civiltà. L’autore elenca cinque assiomi per definire l’identità europea, cinque criteri per distinguere l’Europa dalle altre culture, in particolare da quella nordamericana.

 

I caffè come luoghi letterari e filosofici

Anzitutto l’Europa si caratterizza per i caffè della Milano di Stendhal, della Torino di Nietzsche, della Venezia di Casanova, della Parigi di Baudelaire; quelli di Lisbona amati da Pessoa e di Copenaghen dove passava Kierkegaard, fino a quelli di Vienna e Palermo. È stato “in un caffè di Ginevra che Lenin ha scritto il suo trattato sull’empiriocriticismo e giocato a scacchi con Trockij”. In Europa il caffè è “il luogo degli appuntamenti e delle cospirazioni, del dibattito intellettuale e del pettegolezzo”. Non è facile incontrare caffè archetipici a Mosca; ne esistono “pochissimi in Inghilterra, dopo una fugace moda nel Diciottesimo secolo. Non ce ne sono nell’America del Nord, con l’eccezione dell’avamposto francese di New Orleans”. Negli Stati Uniti “il bar ha un ruolo vitale nella letteratura e nell’erotismo” grazie a figure come Scott Fitzgerald o Humphrey Bogart, ma resta “un santuario di luci soffuse, e spesso è immerso nell’oscurità. Pulsa al ritmo della musica, spesso assordante […], vi si respira la presenza della donna – desiderata, sognata o reale. In America nessuno scrive tomi di fenomenologia seduto al tavolino di un bar” come faceva Sartre al Café de Flore a Parigi.

 

Città adiacenti e percorsi camminabili

Il secondo criterio distintivo è il fatto che in Europa le distanze sono generalmente percorribili a piedi. Non ci sono “né il Sahara né le Badlands, e neppure le tundre […]. In Europa non troviamo né una Valle della Morte né un’Amazzonia”. Non si può “andare a piedi da una città americana a quella successiva. I deserti dell’Australia e del Sud Ovest degli Stati Uniti, le foreste degli Stati del Pacifico o dell’Alaska sono letteralmente invalicabili. […] Di qui la sensazione che esprimono spesso i turisti che arrivano” dal Nuovo Mondo: i nostri orizzonti, non proprio sconfinati, li soffocano; si sentono come dentro una casa delle bambole.

 

Il passato scolpito nei luoghi della memoria

In terzo luogo, Steiner evidenzia che in Europa le vie e le piazze prendono il nome da “statisti, generali, poeti, artisti, compositori, scienziati e filosofi”. Leggere i nomi delle strade e dei quartieri del Vecchio Continente è come sfogliare il nostro passato (a Dublino anche le stazioni degli autobus indirizzano verso le case dei poeti). Negli Stati Uniti “i memoranda di questo genere sono rari. Vie e strade si chiamano all’infinito Pino, Acero, Quercia o Salice. I viali hanno diritto al tramonto: Sunset Boulevard. L’arteria principale di Boston è Beacon Street, la via del faro. […] Le Streets e le Avenues in America sono semplicemente numerate; nei casi migliori, come a Washington, hanno anche un orientamento, visto che il numero è seguito da un North o da un West”. Lo Zio Sam, con la sua ideologia della speranza nel futuro, rifiuta i lieux de la mémoire. Henry Ford dichiarò che la storia era una sciocchezza per inneggiare “a quel potere di dimenticare che è necessario all’inseguimento pragmatico dell’utopia”.

 

Atene e Gerusalemme come fondamenta

Il quarto carattere tipico dell’Europa è la doppia eredità di Atene e Gerusalemme. Whitehead affermava che “la filosofia occidentale è una nota a pie’ di pagina di Platone”. Ma il ruolo di Atene è stato fondante in vari ambiti: “Il lessico delle teorie e dei conflitti sociali e politici, quello dell’atletica e quello dell’architettura, i nostri modelli estetici e le scienze naturali si nutrono ancora oggi di radici greche”. Quanto a Gerusalemme, è difficile “trovare un nodo vitale della trama dell’esistenza occidentale, della coscienza [degli uomini] dell’Occidente (compresi dunque gli americani), che non sia stato toccato dall’eredità dell’ebraismo”. Il rapporto fra le due culture “non è mai stato facile. La tensione tra l’ebreo e il greco ossessiona l’invenzione paolina del cristianesimo. I padri della chiesa sono [a conoscenza] del magnetismo conflittuale tra l’Atene pagana e la Gerusalemme ebraica”. L’identità europea è anche la storia di due città che non sempre riescono a trovare un compromesso. Autorevoli studiosi ne aggiungono, a buon diritto, una terza. Joseph Ratzinger ad esempio sostenne in un discorso al parlamento tedesco nel 2011: “La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma, tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma”.

 

Il timore del crepuscolo europeo

Il quinto elemento è una consapevolezza escatologica (il “senso della fine” della teoria hegeliana della storia) che, secondo Steiner, si trova nella coscienza collettiva dell’Europa. Un memento mori radicato nella psiche del Vecchio Continente. È passato un millennio dalla grande paura dell’anno 1000, ma le profezie di una catastrofe apocalittica e “le numerologie che cercano di calcolarne la data continuano ad affollare l’immaginario popolare europeo”. Tutti abbiamo contemplato i “dipinti panoramici che raffigurano le città dell’Europa in preda alle fiamme o sommerse dalle inondazioni, un filone piuttosto curioso dell’arte romantica. È come se l’Europa, a differenza di altre civiltà, avesse intuito di essere destinata al collasso, sotto il peso paradossale dei propri trionfi e dell’insuperata ricchezza e complessità della propria storia”.

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