24-12-2021 ore 17:51 | Cultura - Tradizioni
di don Emilio Lingiardi

Immersi nel rumore smarriamo noi stessi. In silenzio intuiamo il significato dell’esistenza

“Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo rapido corso, la tua parola onnipotente è scesa dai cieli, dal tuo trono regale”; così recita un’antifona del tempo natalizio, richiamando come sulla grotta di Betlemme regni inquietante solo il silenzio. Giuseppe e Maria sono assorti nella contemplazione stupita e meravigliata del bambino, i pastori si presentano silenti ed oranti col cuore e non con le labbra, i magi si prostrano adoranti: le relazioni tra i protagonisti del Natale sono generate nel silenzio! La nascita di Gesù sollecita una conversione alla relazione. Spesso, invece, chiusi in un’ottica individualistica, viviamo male la dimensione dell’ascolto e del dialogo; interpretiamo la comunicazione come un’affermazione di noi stessi.

 

La condivisione

La comunicazione non è né imporsi né convincere, anche nei casi in cui lo facciamo in maniera delicata e suadente. Gadamer diceva che comunicare è trasformarsi in ciò che si ha in comune. La vera comunicazione, quindi, prevede condivisione di ciò che si è, ascolto profondo di ciò che l’altro è. Questo poi diventa difficile in una vita sommersa dal rumore. Non c’è ascolto nel rumore. Per questo si può dire che il silenzio è la sorgente delle relazioni umane, è dal silenzio che emerge la vera comunicazione, cioè la reciproca comprensione, la comunione. In realtà in natura non esiste il grado zero del silenzio; il rumore è nella natura delle cose.

 

Intuire il significato dell’esistenza

Il silenzio regna in un luogo come effetto della nostra interpretazione dei rumori. È subordinato anche alle nostre interferenze interiori. È qualcosa di intimo, di personale, ma questa intimità è uno degli strumenti più efficaci che abbiamo per intuire il significato della nostra esistenza. È in questa intimità che conosciamo chi siamo. Nel silenzio riesco finalmente a capire e accogliere la verità di me stesso. Se entro in relazione con le mie povertà, ma anche con la pienezza e la verità che sono in me, il mio parlare non sarà più fine a se stesso, un dire parole vuote: sorgerà dal vissuto, dalla sperimentazione di ciò che sono veramente e sarà interessato alla verità dell’altro, teso all’ascolto e alla condivisione. Non sarò più soltanto preoccupato di dire la cosa giusta per contrappormi o per ottenere assenso.

 

La parola giusta

Nel rumore non si parla con parole vere perché non si è veri con se stessi. Possiamo dire che se muore il silenzio muore la comunicazione, perché la comunicazione è mettersi in gioco per quel che siamo. Il silenzio ci è umanamente necessario perché solo nel silenzio riusciamo a scambiare parole che sanno andare in profondità. Si può dire che l’uomo che ha perduto il silenzio è sostanzialmente modificato nella sua struttura interiore. Prendendo spunto dal Siracide, la parola giusta viene dal silenzio e il giusto silenzio viene dalla Parola.

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