24-02-2017 ore 10:36 | Cultura - Incontri
di Paola Adenti

Restiamo Umani. Incontro con Agnese Moro e Grazia Grena: "anche i mostri soffrono"

Prosegue la rassegna Restiamo umani, incontri con autori, personaggi, storie, organizzata a Castelleone parallelamente alla stagione teatrale Sifasera 2016/2017. Presso la Sala Teatro Leone lo scorso 21 febbraio il Sindaco di Castelleone, Pietro Fiori, ha introdotto la serata e gli ospiti senza nascondere la sincera emozione del trovarsi al cospetto di Agnese Moro (nella foto sotto), figlia dello statista assassinato dalle Brigate Rosse, Grazia Grena, attivista dei movimenti di lotta armata e Francesca Mazzini, mediatrice degli incontri tra vittime e responsabili della contestazione violenta. Il Sindaco ha ricordato la grandezza di alcuni grandi nomi della politica italiana, personaggi che hanno lasciato il segno per le azioni che hanno in seguito generato. Ha condotto l’incontro il giornalista e insegnante Alex Corlazzoli.

 

Uscire dalla bolla

Con lucidità e semplicità, Agnese Moro ha raccontato della nascita dell’esigenza di fare domande e di uscire dalla bolla di dolore nella quale la sua nota vicenda l’ha fatta precipitare a 25 anni: “non è stato tanto un perdono, quanto un dire basta”. Alcuni anni fa ha potuto fare quelle domande e ha avuto il coraggio di ascoltare le risposte grazie agli incontri tra vittime e autori di reati proposti e condotti da diversi mediatori. Le esperienze di alcune decine di persone che hanno accettato di riaprire ferite sono state raccolte ne Il libro dell’incontro, curato dal padre gesuita Guido Bertagna, pittore e scultore, dalla giurista Claudia Mazzuccato e dal criminologo Adolfo Ceretti.

 

Lotta armata e carcere

Toccante l’esperienza di vita raccontata da Grazia Grena, una dei leader dei Comunisti organizzati per la liberazione del proletariato. La lotta armata, gli anni bui del carcere, l’isolamento e l’incontro con padre David Maria Turoldo, persona di grande umanità. Il percorso è stato duro anche per chi ha commesso violenze: “all’inizio ho rifiutato di partecipare agli incontri perché ero convinta, ma sbagliavo, di aver messo il passato al suo posto. Avevo scontato la mia pena, mi ero riabilitata, avevo ritrovato mio marito, avevo fatto un figlio. Mi hanno contattata nel 2010, ma non volevo ricominciare tutto da capo”. Poi si è resa conto che in lei era ancora tutto sospeso; ha intrapreso un lento lavoro interiore e collettivo che l’ha portata alla dissociazione dalla lotta armata, al ricongiungimento alla famiglia e all’impegno lavorativo in carcere. “Io, carnefice indiretta – ha affermato – ho conosciuto vittime indirette di sangue, figli di vittime. Ho riattraversato quegli anni, a partire dal mio 1969 quando, diciannovenne, ho iniziato a far politica ”.

 

Il tempo e la riflessione

L’incontro con Agnese Moro l’ha portata a riflessioni, discussioni, scontri, a provare dolore, compassione e a riannodare i fili con la parte meno bella di sé: “è difficile oggi rientrare nelle logiche degli anni ’70. Ho iniziato presto a teorizzare la lotta armata, la violenza, conseguenza quasi di coerenza estrema con i dettami politici per i quali ho rinunciato alla mia stessa umanità”. Ha dichiarato inoltre di esporsi oggi per aiutare a leggere il presente, non tanto per rievocare il passato.

 

Tra umanità e sofferenza

Agnese Moro ha spesso sottolineato la necessità di rompere l’immobilità di certi pensieri che devono portare all’accettazione dell’incontro con le persone direttamente coinvolte in quegli anni per fare emergere l’umanità delle parti e i differenti modi di manifestare la sofferenza. Interessante la sua riflessione sulla giustizia penale e quella riparatrice. La giovane Francesca Mazzini ha portato la sua esperienza all’interno del gruppo di raccordo, un gruppo vario, eterogeneo per età, provenienza, ideologie. Ha manifestato il suo stupore per “la vicinanza di quei corpi, storicamente lontani”. Arte, cultura, Bibbia sono stati il tramite, i fili di avvicinamento fra le opposte e sofferenti parti.

 

Non solo mostri

“Siccome gli autori delle violenze si erano comportati da mostri – ha ricordato la figlia di Moro – pensavo che loro fossero solo dei mostri. Invece ho scoperto che erano esseri umani, pieni di umanità come me. Conobbi Franco Bonisoli, che partecipò al sequestro di mio padre Aldo e parlando con lui scoprii che usava i permessi in carcere per andare a parlare con i professori di suo figlio. Quasi nessun padre lo fa. Per me è stato uno shock. Ho pensato che era allora umano, soffriva pure lui e ho abbandonato il monopolio del dolore”. Il pubblico in sala ha seguito per circa due ore le toccanti testimonianze, interagendo al termine con gli ospiti dei quali, in un intervento, è stato elogiato l’esempio di umiltà ed umanità dimostrato.

952