21-11-2024 ore 19:12 | Cultura - Libri
di Annamaria Carioni

Diario da un monastero, il nuovo libro di Alex Corlazzoli tra silenzio, solitudine e preghiera

Ci sono incontri che arricchiscono, che aprono direttrici di dialogo, che parlano di opportunità della diversità di pensiero, come quello che si è sviluppato tra uno scrittore, che crede di essere ateo, ed un'intervistatrice, che crede di credere. Alex Corlazzoli, maestro e giornalista, viaggiatore curioso, impegnato in politica, volontario in carcere e nei campi nomadi, in prima linea nella sensibilizzazione contro la mafia e i poteri forti, che delimitano le libertà dell'individuo, torna a scrivere e lo fa senza la pretesa di voler insegnare qualcosa a qualcuno; lui, maestro, sa bene che nessuno “nasce imparato”.

 

Parole in cammino

Il suo ultimo libro “Diario da un monastero. Parole di un ateo in cammino”, pubblicato da EDB, con la prefazione scritta da Enzo Bianchi, fondatore della Comunità monastica di Bose ed amico fraterno di Corlazzoli, è l'occasione per rivolgergli qualche domanda e ascoltare le ragioni e le suggestioni di una narrazione semplice ed onesta, che non ha timore di mostrarsi nella sua genuina fragilità e che si apre all'altro, con toni intimi e familiari. Il libro è la restituzione di un'esperienza trasformativa, di un percorso attraverso l'umanità di ciascuno, alla ricerca di un senso terreno o trascendente poco importa, che renda significativo continuare a vivere in modo consapevole.

 

L'antefatto

Nell'estate del 2023 Alex inizia a valutare la possibilità di recarsi nel monastero di Cellole, fondato da Enzo Bianchi dieci anni prima, nei pressi di San Gimignano, in provincia di Siena: medita a lungo la sua scelta, condividendola prima con la badessa del monastero dell'isola di San Giulio sul lago d'Orta e poi con il priore dell'eremo, in cui pensa di trascorrere del tempo e dove aveva soggiornato già altre volte. Parte l'11 ottobre 2023, il giorno dopo il suo compleanno, festeggiato a Ferrara ad un concerto di Vinicio Capossela, con la consapevolezza di provare un'esperienza, in cui avrebbero potuto emergere le sue fragilità e costringerlo a desistere. In realtà rimane con i monaci per due mesi, mettendosi in aspettativa dalla sua professione di maestro.

 

Alla ricerca di sé

“Al mio arrivo ho confidato a Fratel Emiliano che mi trovavo tra i monaci per cercare di essere un uomo migliore, ma lui mi ha risposto che bisogna sapersi accogliere così come si è. In quel momento ci siamo scelti a vicenda, non sapevamo prima di quell'incontro che lui sarebbe diventato la mia guida spirituale”. L'autore inizia a vivere una quotidianità di condivisione, in cui ogni giorno non manca un momento di incontro e di confronto con il priore, “una boccata d'ossigeno, un'occasione per ripartire. Sono stati i due mesi più belli della mia vita. Ho pianto molto la prima sera, ho pianto abbastanza i giorni successivi, poi ho pianto di gioia per la bellezza, che ho colto intorno a me e ancora ho pianto per il dispiacere di dover andare via”.

 

Tempo e spazio alla solitudine

Il libro racconta i due mesi di convivenza con i religiosi. La giornata è scandita dalle attività dei monaci, a cui Alex prende parte: dalla preghiera mattutina delle sei, seguita da occupazioni lavorative, da tempi di meditazione, dal pranzo comunitario per arrivare al raccoglimento del vespro, alla cena e al grande silenzio dalle 20.30 al mattino successivo. “Mi ritiravo nella mia cella e davo tempo e spazio a costruire la solitudine. L'unico strappo alla regola era tornare a dormire un'oretta al mattino, perché mi alzavo alle 5.30 e per me la giornata era troppo lunga”. I confratelli assegnano all'ospite una cella un po' più grande delle loro: è arredata in modo spartano, sobrio, con un tavolo e una lampada per leggere, una sedia, un letto, un armadio, ma anche un frigorifero.

 

Trenta parole

La narrazione non è diaristica in senso stretto, in quanto non è scandita da date, ma da trenta parole, che il lettore può adoperare come meglio crede. “Sono parole che ho scritto la sera, quando mi ritiravo in cella. La scrittura è stata la mia strategia per dare forma alle emozioni che ho vissuto”. Una parola tra queste risuona in modo particolare: bellezza, la bellezza che si respira nel monastero e che è fatta “di dialoghi profondi, di risate genuine, di una preghiera che sa coinvolgere anche uno che si crede ateo, la bellezza di non sentirsi giudicati”. Il giornalista confessa di aver imparato a stare nella solitudine, voluta e cercata, una “solitudine bianca”, come dice Reinhold Messner, uno dei suoi autori preferiti.

 

Il cammino del pellegrino

“Mi definisco uno scarabocchio. Ritengo di aver fatto il meglio possibile, ma non sono felice della mia esistenza. L'ho arricchita di incontri preziosi, di viaggi, ma è stata faticosa”. Corlazzoli rivela che anche i due mesi di permanenza nel monastero sono stati preziosi e impegnativi: “In alcuni momenti ho sentito la presenza di Dio come ingombrante, ma quando ho lasciato la comunità monastica ne ho avvertito la nostalgia”. Proprio come il monastero di Cellole, anche il libro del giornalista offanenghese diventa luogo di solitudine e silenzio, di preghiera e ascolto, di fraternità, un luogo in cui forse anche il lettore può ritirarsi per fare esperienza di sé attraverso gli occhi dell'altro e iniziare un cammino da pellegrino.