20-11-2021 ore 20:12 | Cultura - Incontri
di Gloria Giavaldi

Clara Gallini: l'umile antropologa cremasca vive nei ricordi e nelle parole di Sofia

Crema era la sua “gabbia dorata”, una città da amare, ma non troppo. Un posto pieno di ricordi di infanzia, luogo del cuore della famiglia d'origine, dal quale spiccare il volo e conoscere più a fondo l'antropologia. Clara Gallini, studiosa di fama nazionale cui è dedicata la nostra biblioteca, aveva preferito Cagliari, “subito dopo aver ottenuto l'abilitazione per insegnare al liceo”. Lì aveva abbandonato il sogno di fare l'archeologa per abbracciare a tutto tondo l'antropologia, disciplina che “apriva alla storia del mondo”. Clara era una donna autonoma, amante dei libri, dei gatti e dello studio. “Clara era anche mia zia. Abbiamo gli stessi pollici”. Sofia Rizzo è la pronipote di Clara Gallini: nella sua tesi di laurea in scienze della formazione racconta aneddoti e ricordi dell'antropologa, ma anche di una “zia dolce e generosa”. “Il mio rapporto con Clara era bellissimo” spiega nella seconda serata dei Giovedì della biblioteca, in compagnia di Edoardo Edallo e Mariangela Torrisi. “Quando la raggiungevo nella sua casa romana respiravo la sua raffinatezza, ma pure la sua umiltà”. In quegli anni “era già diventata un nome nel panorama nazionale, ma non si faceva problemi ad indossare un maglione con sopra i peli del suo amato gatto ed il suo inseparabile basco blu”. Era umile, solida, assetata di conoscenza ad ogni età. “La sua presenza a Crema era un dono, era una festa, ma non le si poteva chiedere di separarsi dai libri e dallo studio”.

 

Vivere e raccontare il mondo

Attraverso le pagine, Clara scopriva il mondo, raccontava se stessa, affrontava temi oggi attualissimi in tempi non sospetti. “Tornata a Crema nel 2011, consegnò alla nostra famiglia un testo dal titolo Ricordi d'infanzia. Lì è scolpita la sua vita: l'amore per la mamma, con cui aveva un rapporto conflittuale, la relazione con la sorella, i luoghi di una Crema lontana”. “Erano gli anni – ricorda Edoardo Edallo – in cui Crema, piccola città di provincia, brillava per nomi di spicco in tutti i settori: dall'amministrazione, alla medicina, fino alla scuola”. In quel periodo venne istituito il primo reparto per discinetici (così venivano chiamate le persone con disabilità ndr) e venne realizzato il restauro del Duomo: “dopo la guerra si avvertiva il desiderio di ripartire, senza abbandonare le radici”. Da questo slancio prese il via la carriera di Clara, tra lo studio, i viaggi, la curiosità. I suoi testi spaziano dalle chiese alle religioni, dal razzismo alla condizione delle donne sarde: erano un modo per osservare il mondo cambiare e raccontarlo con occhi vivi. “Ho notato- scrive Clara – che la società con le sue pratiche simboliche attribuisce ruoli. Tra questi quello del malato, che “deve necessariamente indossare panni nuovi, puliti”. Poi un'analisi sulle croci “costitutive della nostra identità, poste all'inizio delle strade”. E, infine il razzismo: “legato ai confini, segnato dalle croci che dividono noi dagli altri”.

 

Una donna autonoma

La sua passione era rappresentata dalla storia delle religioni: “mi ha insegnato – continua – che Dio non viene dal cielo. Che la religione è una creazione umana per curare l'insicurezza. O meglio, la perdita di presenza”. Da lì vengono i miti. È una questione di fiducia, o meglio di affidamento. Ma Clara insegna che bisogna camminare. Per costruire. “Il cambiamento non è sempre bello: bisogna avere un'autonomia di coscienza, che non significa solo essere indipendenti, ma saper ascoltare gli altri”. Inseguiva l'indipendenza in un'epoca in cui le donne autonome erano poche: “essere autonoma per una donna significa rinunciare ad altro. Ho tanto sognato un fidanzato, ho una sessualità repressa e pochi amori clandestini”. Sofia tiene tra le mani il libro postumo della zia, donato proprio ieri alla biblioteca di Crema. Si intitola Chiaro scuri, storie di fantasmi, miracoli e gran dottori. Per il sindaco di Crema Stefania Bonaldi la serata è stata “un'occasione per conoscere l'antropologa in modo intimo e familiare”. “Mia zia- sembra risponderle Sofia – era tutto questo. Oggi so che siamo simili: abbiamo gli stessi pollici”.

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