17-03-2021 ore 19:02 | Cultura - Incontri
di Ramona Tagliani

Manfredi Borsellino incontra gli studenti cremaschi e racconta di suo papà Paolo

“Non son solito fare incontri pubblici perché per scelta mi son tenuto sempre defilato ma oggi ho accettato il vostro invito perché mi interessa dialogare con voi bambini su mio papà Paolo”. A parlare in diretta online dal commissariato di Mondello di cui è dirigente, è il figlio del magistrato Borsellino: Manfredi, 49 anni. Un incontro di due ore coi ragazzi della classe quinta della primaria di Madignano. Un incontro organizzato dagli insegnanti Alex Corlazzoli, Maria Paola Piacentini e Clara Bianchessi, nell’ambito della settimana dedicata alla memoria e alla cultura allestita dall’Istituto “Falcone e Borsellino” per vivere la ventiseiesima giornata in memoria delle vittime innocenti di mafia in calendario domenica 21.

 

Oltre il ruolo di investigatore

“Mio papà era un uomo generoso e lo era con tutti. Quando venne a sapere che la moglie vedova di un mafioso ucciso di cui lui si era occupato, aveva bisogno di un motorino per il figlio che doveva portare in giro il pane per portare a casa uno stipendio, mi chiese di donare il mio primo ciclomotore a quel ragazzo. Mio padre andava oltre il suo ruolo di investigatore ma si interessava al futuro delle famiglie coinvolte in un omicidio di mafia. Diceva che andavano aiutate anche le famiglie degli uomini d’onore per strappare i loro figli alla criminalità organizzata. Mi ha insegnato così che la generosità e l’amore sono qualcosa che si deve fare senza che si sappia”.

 

Abituarsi alla scomparsa

Quando il padre venne messo sotto scorta lui era adolescente: “Non avevo paura per me ma di perdere il papà. Capivo che gli sarebbe potuto accadere qualcosa. Dopo la morte di Giovanni Falcone mio padre cambiò atteggiamento. Lui che amava scherzare con noi, che era come un fratello, in quegli ultimi 57 giorni divenne sempre più cupo, staccato nei nostri confronti. Era un modo d’abituarci all’idea della sua scomparsa. Voleva prepararci a ciò che sarebbe potuto accadere. Lo faceva per amore. Noi non lo capimmo subito ma dopo la sua morte parlando con il suo confessore siamo venuti a sapere che lui sapeva di dover morire. Anche per noi quei giorni non furono più uguali: io avevo quasi ogni notte incubi. Sognavo che lo avrebbero ammazzato in un attentato proprio come è accaduto il 19 luglio”.

 

L’agenda rossa

Pensando al 19 luglio 1992, il figlio del magistrato, ha parlato della famosa agenda rossa sparita quel giorno: “Lì erano custodite delle verità che mio padre non ci aveva riferito ma di cui aveva lasciato traccia perché sperava che qualcuno le sfruttasse per fare luce su quei mesi drammatici. Purtroppo quell’agenda non è andata distrutta, è stata sottratta dalle persone sbagliate che oggi la custodiscono. La mia speranza è che i miei figli, i miei nipoti possano conoscere il contenuto di quell’agenda e capire perché non hanno potuto conoscere il loro nonno”. Tante le domande dei bambini. Manfredi ha risposto a ciascuno. Davide ha rotto il ghiaccio chiedendo: “Ma tu conoscevi quel ragazzo cui hai regalato il motorino?”. Emilia ha chiesto: “Da bambino non avevi paura a sapere che tuo papà faceva quel lavoro?”. E Gregorio ha voluto sapere: “Quando avevi dieci anni come noi volevi fare il magistrato come tuo padre o avevi altri sogni?”.