14-02-2020 ore 12:50 | Cultura - Proiezioni
di Chiara Grossi

Gli anni più belli. Gabriele Muccino, quattro amici e la nostalgia di un’età ormai finita

Gli anni più belli, ultimo film di Gabriele Muccino appena uscito nelle sale, si accompagna al titolo di una nuova canzone di Claudio Baglioni creando una combinazione che immediatamente rimanda al sapore nostalgico di un’età ormai finita, collocata dal regista negli anni ottanta. Da quel periodo parte la storia, snocciolandosi fino al giorno d’oggi. Micaela Ramazzotti, Claudio Santamaria, Kim Rossi Stuart e Pierfrancesco Favino interpretano quattro ragazzi che per diverse coincidenze del destino si incontrano tra le strade di Roma e che, nel corso della loro vita, suggellano un’amicizia fatta di compromessi, incomprensioni e ritrovamenti.

 

Limiti e compromessi
Le vicende che Muccino vuole raccontare sono le storie che riguardano un po’ tutti gli spettatori e che attraversano epoche e luoghi, storie di sogni e speranze giovanili che vogliono ruggire nonostante motori ingolfati ma che giorno dopo giorno devono affrontare i compromessi e i limiti della vita. Così, qualcuno si rassegna di fronte alla modestia dell’ordinario mentre qualcun altro finge di non vederla, chiudendo gli occhi e nascondendosi nella comodità dei compromessi medesimi. In questo preciso momento gli adolescenziali miraggi e le acerbe illusioni si spengono. In effetti, nel linguaggio del regista romano, il passaggio tra adolescenza ed età adulta è un tema ricorrente e lo racconta proponendo drammi familiari spesso da manuale, talvolta esasperati, ma che arrivano facilmente al grande pubblico.

 

La leggerezza

Del resto l’adolescenza è esasperazione, è l’età in cui ogni intenzione sfugge facilmente di mano fino a quando, una volta adulti, ci si rende coscienti delle derive raggiunte e dei loro effetti. Muccino s’ispira a C’eravamo tanto amati di Ettore Scola e lo dichiara esplicitamente: stessa città simbolo e stessi espedienti narrativi; diverso il momento storico, le esperienze di vita dei protagonisti e soprattutto lo spessore morale. Probabilmente, Gli anni più belli non ha la pretesa di portare lo spettatore a riflessioni profonde sul valore dell’ordinario bensì si accontenta di raccontare i percorsi della vita in maniera meno intrinseca, più leggera… Ma in fondo, a volte, “che c’è di male ad essere leggeri?” Questa recensione è frutto del lavoro dei partecipanti al laboratorio Intrecci+, finanziato da Fondazione Cariplo.

 

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