E' arrivato dall'aeroporto di Linate nel pomeriggio di sabato 12 aprile e da lì in auto fino al campo sportivo di Madignano, dove è stato accolto come una star: decine di fans lo aspettavano trepidanti ed emozionati e lui, l'icona pop degli anni Ottanta, non li ha delusi. Den Harrow, il performer, come ama definirsi lui stesso, che impazzava sulle copertine delle riviste musicali e che ha venduto più di venti milioni di dischi, ha risposto all'invito di Erminio Tacca, presidente della Polisportiva Bees ConCuore Madignano, ed ha conquistato tutti con la sua genuina disponibilità e con la sua simpatia. Sessantadue anni portati alla grande, un fisico scolpito, i capelli biondi corti, acconciati nella pettinatura iconica con frangetta aperta sulla fronte, che faceva impazzire le teenagers, non si è risparmiato e ci ha concesso una intervista.
Come nasce il nome d'arte Den Harrow?
“Nasce per un'assonanza con la parola denaro: doveva essere di buon auspicio e lo è stata, molto anche direi”. Stefano Zandri, questo il suo nome all'anagrafe, è seduto accanto a me, con una bottiglietta d'acqua in mano. Ha terminato da pochi minuti le prove microfono e audio, ha verificato personalmente l'acustica, la posizione del palco. Stare a guardarlo anche in questi momenti tecnici fa capire che è un vero professionista, scrupoloso, attento ad ogni dettaglio: mi dice che lo fa per onorare il pubblico, a cui deve la sua fortuna.
Quale musica ascoltavi da ragazzo?
“Come tutti i giovani, anch'io avevo molti idoli: Renato Zero, Miguel Bosè, Ivan Cattaneo, con cui è nata una grande amicizia. Mi piaceva molto anche Patrick Juvet. Da ragazzino adorante dei propri idoli, trovarmi poi ad incontrarli e a stringere con loro rapporti di amicizia è stata un grande emozione”. Den parla liberamente, senza filtri: si percepisce la positività del suo approccio alla vita, la sua empatia, la sua capacità di entrare subito in sintonia con gli altri. Accanto a noi, dall'altra parte del tavolo, è seduta anche la sua compagna di vita, Daisy Scaramella, che lo segue, lo supporta, lo consiglia e di cui lui si fida completamente.
Quando hai capito che esibirti era la tua strada?
“Da adolescente ero grasso e mi prendevano in giro. Poi sono dimagrito, ho iniziato a praticare arti marziali e questo è stato un riscatto, dal brutto anatroccolo al cigno ammirato su tutti i poster. Questa è stata la mia rivalsa personale. Esibirmi sul palco era una forma di comunicazione tutta mia, una forma terapeutica, che, a seconda dei brani che proponevo, mi consentiva di sperimentare il mio essere guerriero o romantico. Era un modo bello per cercare di sprigionare quello che sentivo”. Stefano si apre senza difficoltà e racconta momenti della sua vita personale, che sono anche un messaggio a non arrendersi, ad essere consapevoli di se stessi e fieri della propria unicità.
Tu sei nato il 4 giugno, Gemelli, il segno zodiacale della trasformazione, vero?
“Sì, è vero, la trasformazione è una delle cose più belle che possano esistere, ma seguendo un filo logico, in modo coerente, senza perdere se stessi”. Nel corso della sua vita e della sua carriera, Den ha saputo reinventarsi più volte: dalle prime apparizioni in cui davvero era un performer alla decisione di cantare con la sua voce le sue canzoni, al viaggio in America dove si è esibito come spogliarellista al ritorno in Italia, alla partecipazione a programmi televisivi di successo come Meteore e L'isola dei famosi fino alle serate e ai concerti, che continua a tenere da vero evergreen.
Entri in empatia con tutti. Come fai?
“E' la mia aura. Quando ti proponi in modo pulito e sincero, non hai sovrastrutture, non sei studiato, probabilmente questo passa”. Den inizia ad esibirsi nel 1983 e nel giro di due anni esplode: Discoring, Superclassifica show, Festivalbar, tutti lo vogliono. “Ogni giorno sotto casa mia c'erano folle di ragazzine, che aspettavano ore per vedermi e mia mamma lanciava loro dalla finestra le cartoline, con le mie immagini”. E può ben asserirlo: a lui sono state dedicate 398 copertine di riviste.
Ti definisci un performer più che un cantante. Ci spieghi meglio?
“Sì, mi definisco performer, perché non era un mio sogno diventare un cantante. Da ragazzino mi hanno chiesto di prestare l'immagine ad un brano, non sapevo neanche che cosa significasse. Ho detto di sì per gioco e a 19 anni mi sono trovato a guadagnare 200.000 lire a serata. Poi sono diventato cantante perché era necessario, anche se cantando ti impegni sulla voce e meno nell'esibizione. Essere performer invece mi piace, perché sul palco puoi esibirti come vuoi, non sei limitato da niente. Io canto, ma i veri cantanti per me sono altri: Andrea Bocelli, Lisa Stanfield”.
Raccontaci qualche aneddoto
“Siccome ero carino, con me ci hanno provato in tanti - Den sorride e chissà quante ne ha viste, che non si possono raccontare – Ho cenato un paio di volte con George Michael, in occasione di video girati a Londra con i suoi stessi produttori. Una volta sono andato a casa di Boy George e ci ha aperto sua mamma, identica a lui. Con Joy Tempest ho fatto due tour in Germania e non ci facevano mai uscire la sera, perché dovevamo essere pronti e riposati per i concerti. Una sera siamo scappati dall'hotel e siamo andati in un bar: lui si è ubriacato e quasi non si è accorto di un cane che gli ha fatto la pipì su un piede".
Possiamo dire che la tua è una vita a tinte forti?
“La vita è fatta di fatti, non di parole. Sono anni che mi rompono le scatole per un pianto all'Isola (dei famosi) e si dimenticano che ho venduto venti milioni di dischi. Io piango, rido, fa parte della mia vita esprimere le mie emozioni. L'importante è stare a galla, rimanendo una brava persona”. I fans lo reclamano: sono arrivati a Madignano con le borsette di plastica cariche di vinili e di poster. Una donna in particolare ha portato venti mix, due album, dieci 45 giri e due cd per farseli tutti autografare dal suo mito. Den è lì, tra loro, si abbracciano, chiacchierano, ridono, scattano selfie in attesa del concerto serale.