12-02-2025 ore 17:33 | Cultura - Proiezioni
di Annamaria Carioni

'Vermiglio' il film di Maura Delpero racconta la bellezza e la nostalgia delle nostre radici

In occasione dell'anno giubilare, anche a Crema sono stati programmati numerosi eventi ed iniziative importanti, che mirano ad approfondire ed indagare il tema della speranza nelle sue molteplici sfaccettature. Tra queste occasioni di riflessione e confronto, martedì 11 febbraio la diocesi di Crema in collaborazione con il Centro Culturale Gabriele Lucchi ha proposto il film “Vermiglio”, primo appuntamento del cineforum “Percorsi di speranza” presso la Multisala Portanova. Un numeroso pubblico ha affollato la sala due, sfidando le avverse condizioni atmosferiche e snobbando la prima serata del festival di Sanremo.

 

Un film pluripremiato

Scritto e diretto da Maura Delpero, regista e sceneggiatrice, nata a Bolzano nel 1975, il lungometraggio è stato presentato in anteprima alla 81ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, dove ha vinto il Leone d'argento e in seguito è stato selezionato per rappresentare l'Italia alla notte degli Oscar del 2025 nella sezione del miglior film straniero. Il giornalista Lauro Sangaletti ha introdotto la visione della pellicola con un breve commento iniziale e ha poi condotto un dibattito di approfondimento con quanti hanno scelto di fermarsi al termine della proiezione per condividere impressioni e sentimenti suscitati dall'opera cinematografica.

 

Vermiglio

Per chi non sa nulla del film, questo termine suona come un evocativo aggettivo: potrebbe richiamare i fiori del verde melograno, a cui tendeva “la pargoletta mano” di carducciana memoria oppure potrebbe far pensare al colore del sangue. In realtà, Vermiglio è l'ultimo paese della Val di Sole, lungo la strada che da Trento porta verso il Passo del Tonale, è il luogo in cui vive la famiglia Graziadei, protagonista della storia, ed è la scenografia naturale, in cui si svolge quasi tutta la vicenda. Questa scelta racchiude in sé lo stile della regista: è un titolo semplice, quasi ovvio, eppure proprio per questo così potente, diretto, compiuto in sé, esattamente come l'occhio narrante, che con tono quasi documentaristico racconta la quotidianità dei singoli e della comunità, a cui essi appartengono, senza fronzoli nel suo dispiegarsi genuino e disarmante.

 

Un accenno alla trama

E' l'inverno del 1944. L'arrivo nel remoto villaggio montano di Pietro, un soldato di origini siciliane, reduce dalla guerra, stravolge la vita di un insegnante e della sua famiglia, quando la figlia maggiore Lucia se ne innamora e decide di sposarlo. Poco dopo il matrimonio, giunge infatti la notizia della fine della guerra e il giovane torna in Sicilia con lo scopo di far sapere ai propri cari di essere sopravvissuto, promettendo alla moglie di tornare presto da lei. Tuttavia, dopo aver perso le tracce di Pietro, la famiglia apprende dal giornale che l'uomo, già sposato con una donna siciliana, è stato ucciso da quest'ultima per il suo tradimento.

 

I percorsi della vita

Questo evento drammatico cambia i percorsi di vita dei protagonisti e ne scardina le certezze: Lucia, straziata dal dolore, partorisce la sua bambina e abbandona i cieli azzurri delle sue amate montagne per andare a lavorare in città, il padre autoritario si trova a dover accettare una situazione che non può modificare, né controllare, Ada, la sorella ribelle, diventa suora alla ricerca di un ruolo diverso da quello immaginato per lei dalla famiglia e soprattutto della propria libertà di autodeterminarsi. La speranza in un futuro migliore, in una possibilità di riscatto poggia saldamente sui valori di sacrificio, onestà e dedizione alla famiglia, al lavoro e a Dio, che si respirano nelle vicende della comunità montana.

 

Il profumo delle tradizioni

Seppur ambientata in montagna, la storia colpisce per le assonanze con le tradizioni del mondo contadino delle nostre pianure: la notte di Santa Lucia con l'asinello e in groppa la giovane Lucia velata, lo “strangolin”, la malattia che si porta via il piccolo Giovanni ancora in fasce, un'unica stanza da letto per fratelli e sorelle, in due e anche in tre per letto “a testa e piedi” e tanti altri momenti, che hanno riportato il cuore dei meno giovani a un tempo, di cui si sta perdendo la memoria. I dialoghi sono tutti in dialetto, con sottotitoli in italiano, utili altrove, ma superflui per il pubblico cremasco, che non ha fatto fatica a comprenderne il significato: commenti bisbigliati, delicate risate e qualche lacrima trattenuta hanno testimoniato la costante partecipazione del pubblico in sala.

 

Finzione e realtà

L'unico attore protagonista è Tommaso Ragno, perfetto nel ruolo del padre/maestro di scuola severo, pragmatico, fieramente onesto, ma sensibile all'importanza dell'educazione, al piacere della musica e all'idea che ognuno possa e debba aspirare a migliorare. Intorno a lui si muovono e regalano vita vera le recitazioni spontanee e profondamente credibili di persone, adulti e bambini, uomini e donne, che offrono se stessi nell'immediatezza di una normalità che diventa poesia, perché libera da ogni sovrastruttura. Estranei alle battute di un copione, questi nativi trentini diventano attori ed attrici per una volta, nel senso etimologico del verbo latino “agere”, perché agiscono la loro realtà in uno spazio privilegiato di racconto di sé.

 

Un film da vedere

Il film di Maura Delpero incanta: le montagne innevate, i boschi incontaminati, i colori del legno, il guizzo del fuoco che accende il camino e le candele, il latte fumante appena munto in una fredda stalla e il grammofono del maestro Graziadei, che diffonde la melodia delle Quattro Stagioni di Vivaldi. Si viene rapiti dai tempi lenti di una vita, che ci fa l'effetto di una favola, e dal calore di una salda unità familiare, che ci appare commovente, perché, forse, ne avvertiamo la mancanza. E' un film domestico e solenne, che non può lasciare indifferenti.