11-03-2023 ore 20:33 | Cultura - Incontri
di Annamaria Carioni

'L'ispettore capo' Giorgio Tirabassi si racconta all'auditorium Galilei: teatro, cinema e fiction

Romanengo. Il teatro Galilei accoglie Giorgio Tirabassi in dialogo con Pippo Crotti. Due sedie, due microfoni e due attori, amici e colleghi, che si scambiano domande, battute e si dicono pronti a chiacchierare con il pubblico.

Gli inizi
“Come hai cominciato? Da bambino che cosa volevi fare?” Con questa domanda inizia il racconto di una carriera lunga quarant'anni, partendo dalla gavetta in teatro con Gigi Proietti, passando per la musica, il cinema e le fiction televisive.

Una poesia, una canzone, un monologo
Tirabassi descrive con simpatica ironia il suo primo provino e lo fa con semplicità, come nel salotto di amici, con la sua parlata romanesca che scalda il pubblico e accorcia le distanze.
Spiega che la bravura non basta, ci vuole anche fortuna e che in 9 anni da quel giorno, da piccole parti arriva a fare i pezzi a due con Proietti.

Dal teatro al cinema
“Non sapevo dire manco yes, ma per fortuna in quel film facevo il sordomuto”. Esplode una risata generale. L’attore intanto continua a regalare momenti di vita; ha lavorato con registi del calibro di Mazzacurati, Ettore Scola, la Archibugi, ha avuto l’onore di recitare con Manfredi, Mastroianni e Giannini.

Il successo delle fiction televisive
Mentre parla di sé, Tirabassi si anima, si infervora, ci prende gusto, si alza e mima i gesti più caratteristici dei suoi personaggi. Così si materializza il vice questore capo della squadra mobile Ardenzi e con lui, grazie alla presenza di Pippo Crotti, anche il sovrintendente Polena per la gioia degli appassionati della serie, che applaudono. “Ardenzi mi ha consentito di sviluppare il mestiere. Devi essere empatico, istintivo”.

Il ruolo del giudice Borsellino
“Quando me l’hanno proposto, avevo paura, non mi sentivo pronto”. Poi l’attore ha letto libri e scritti del magistrato e la paura di Borsellino di essere “un morto che cammina” ha ridimensionato la portata del suo timore. Ha lavorato molto su questo personaggio, sulla sua andatura, sul suo modo di fare. “Durante le riprese sentivamo la commozione, il peso di quella storia così emblematica”. Per l’attore è stato un arricchimento professionale e personale.


Non esiste un metodo unico
“All’inizio studiavo tutte le sere le parti, ma con il tempo ho smesso. Recitare è una questione psicologica, ognuno ha il suo metodo”. Tirabassi si diverte e fa divertire i presenti, il clima è familiare, gli spettatori interagiscono con risate, applausi e domande.

La regia del cortometraggio
Tirabassi si è cimentato anche nella regia del cortometraggio Non dire gatto (2001), vincendo un David di Donatello. “Fare la regia è bello, perché io sto seduto e lavorano gli altri”. La ricetta del fare bene è divertirsi, essere determinati “e andare d’accordo con la troupe e le costumiste”. Di nuovo risate. La serata si avvia al termine. Tirabassi si presta con grande disponibilità al rito dei selfie e degli autografi.

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