09-06-2021 ore 19:32 | Cultura - Libri
di Gloria Giavaldi

Mariangela, la forza di una mamma con il coraggio di guardare oltre: 'ecco la felicità'

“Ad un certo punto, in mezzo ad una routine organizzata in cui tutto era incastrato a dovere, mi sono fermata, ho guardato mia figlia negli occhi ed ho visto una bambina”. Solo una bambina. “La sindrome di Rett aveva tolto a Sofia la possibilità di camminare e di parlare, ma non di essere una bambina, la mia bambina. Li ho capito che non dovevo essere una ricercatrice accanita, un'infermiera, una maestra, Sofia aveva diritto ad una madre. Lì tutto è cambiato, quando trovi la semplicità cominci a vivere, smetti di sopravvivere”. Torni a respirare, a gustare ogni attimo. “Con un mestolo in una mano e un antiepilettico nell'altra”, ma la vita è “la capacità di arrabattarsi nonostante quell'ultima carta che scombina i progetti”. Li ribalta e porta sull'orlo di un burrone. “Lì ho trovato il coraggio di guardare oltre”. Ospite alla prima serata estiva, organizzata dall'Arci di San Bernardino introdotta da Franco Bordo e moderata da Barbara Donarini, è Mariangela Tarì, autrice di Il precipizio dell'amore, edito da Mondadori. Una laurea in legge,la passione per la scrittura, il desiderio di mordere la vita, il coraggio di affrontare il dolore, “rivelarlo”, metterlo nero su bianco “per trasformarlo in qualcosa di diverso”. Qualcosa di bello “perché Sofia merita il bello”. Anche con la sindrome di Rett. “Ho odiato la malattia, ma ora ho imparato ad amarla. È stato un percorso, la disabilità è un percorso di conoscenza, costa tempo, fatica, coraggio, ma vale la pena”. Bisogna rischiare e amare.

 

Un amore coraggioso

“Il dolore è come l'amore” si legge sulla locandina. È vero, entrambi richiedono il coraggio di andare oltre. Di stare accanto. Di restare sempre. “Di rimanere anche quando tutti se ne vanno. L'atto di cura è prima di tutto un atto di intelligenza”. E' una scelta piena di amore, compiuta tutti i giorni “su un precipizio . Ma da quel precipizio scelgo quotidianamente di guardare oltre. Oltre c'è la felicità. La felicità è un atto di volontà, ma è un incidente, un'opportunità che ti capita mentre sei smarrita, mentre stai facendo altro”. Come lei, ci sono madri, padri, fratelli, sorelle. Sono i caregivers familiari, un esercito di persone che fa il bene ogni giorno. In silenzio. “Siamo invisibili. Abbiamo chiesto tutele, ma dopo un primo riconoscimento giuridico nel 2017 l'attenzione si è spenta”.

 

Un simbolo

La disabilità è ancora una cosa di pochi “ma i vostri occhi oggi mi dicono che attorno alla mia storia c'è una comunità. E, allora, mi piace pensare che la mia storia non sia solo mia, sia il simbolo di un percorso di tanti genitori, fratelli, amici” mossi quotidianamente dal coraggio di amare. Oltre i silenzi, gli ostacoli, le paure, le difficoltà. E le carte fuori posto. Ché c'è vita in ogni attimo. “Ho cominciato a scrivere per rivelare”. Per rivelarsi. “Volevo smetterla di essere invisibile e la scrittura aiuta perché fornisce uno scopo”. Anche quando sembra non esserci più. “Quando anche Bruno, il mio secondo figlio, si è ammalato di un cancro al cervello, mi sono persa. Vagavo”. Senza una meta, senza un perché. “Odiavo i sorrisi degli altri bambini, i loro rumori mi infastidivano. Mi ha salvato mio marito Mario, lui che resta sempre”. Anche in silenzio. “E' pacato, io no. È razionale, io no. Ci completiamo, è questo ciò che conta. Abbiamo ancora dei segreti, non smettiamo di scoprirci nonostante il tempo che spesso manca, la fatica, la routine, la paura”.

 

Essere se stessi

Poi ci sono gli amici, “quelli che mi aspettano sempre. Anche quando non posso dare conferma per una pizza perché chi lo sa come staranno i miei figli domani”. Quelli che ci sono sempre stati e che sanno riconoscere “quella ragazza folle anche dietro ad una mamma superorganizzata tra visite, lavoro, imprevisti e appuntamenti vari”. Quella che c'è anche oggi “dietro ad uno scudo”, ma che ha affrontato il tempo del dolore. “C'è, è necessario, ma non dobbiamo temerlo, dobbiamo viverlo, non avere paura di mostrarci anche fragili e di chiedere aiuto. Io filosofeggio tutti i giorni con me stessa. Mi aiuta a continuare. Prego poco, parlo tanto”. Vive molto.

 

La Casa di Sofia

La vita è qui, in ogni attimo. In ogni sguardo e nella Casa di Sofia, l'associazione nata per sostenere famiglie di persone con disabilità attraverso la terapia ricreativa. Perché un sorriso salva sempre. Al pari dello sguardo di chi non ha paura di abbassarsi per incrociare occhi pieni di vita. “Quando mi incontrate per strada mentre porto Sofia a fare un giro, non chiedete ai vostri figli di non guardarla. Fareste un gioco sbagliato. Se le puntano gli occhi addosso è perché vogliono sapere. Allora, non abbiate paura della disabilità, piegatevi sulle ginocchia all'altezza dei suoi occhi, chiedete ai vostri figli di fare lo stesso e chiedete il nome di quella persona che avete di fronte” scrive Mariangela nel libro. “Alle spalle di un bambino malato, c'è sempre una mamma che con un mestolo in una mano e un antiepilettico nell'altra, attraversa la propria vita [..] sperando che smetta di piovere”. Non piange, Mariangela. Non smette di sperare, di lottare. Costruisce ogni giorno. Con la vita si fa così.

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