08-09-2021 ore 20:28 | Cultura - Libri
di Gloria Giavaldi

La storia di Valentina Mira: 'voglio donare speranza: non sono lo stupro che ho subito'

“Questo romanzo è la cosa migliore che ho fatto nella vita. Ora voglio andare avanti”. Si intitola X, il primo libro di Valentina Mira, ospite all'Arci di san Bernardino per la rassegna Di venere e di marte. Ma X è anche l'altro nome della violenza sessuale che ha subito. Il volto nascosto, più intimo, il punto di vista delle vittime che, da sole, devono capire, riconoscere, fare i conti con il dolore, la paura. È il peso del senso di colpa, che allontana dal mondo, dai legami. Dalle persone. È ciò che dà vita al coraggio di raccontare, di mettere nero su bianco. Di dare un nome a ciò che è stato. Ad un atto violento che segna, ma non definisce. “Avrei potuto intitolarlo stupro, ma non amo questo suono. Riporta ad uno strappo, ad una lacerazione”. Non solo fisica. Le parole, invece, servono per ricucire. Per dare un nome alla sofferenza. Parla al fratello dopo anni di silenzio. Maneggia il dolore con consapevolezza, lo controlla. Per certi versi lo tiene a distanza. “Daje, non voglio intristirvi la mia è una storia di speranza: io non sono lo stupro”. Con lei Barbara Donarini, Franco Bordo e l'assessore alla cultura Emanuela Nichetti.

 

Dare un nome al dolore

Alta, mora, bella, sguardo fiero. Ma c'è altro. Le donne non sono solo belle. Valentina è coraggiosa. Mette a nudo le sue insicurezze. Con il suo libro tra le mani, edito da Fandango. “Esiste, lo posso stringere: è figo”. Gli occhi brillano. Si scorge un velo di tristezza. Il giudizio scalfisce anche oggi. “Ho scritto la mia storia in un anno. Ogni giorno ho avuto paura. Ho capito che il giudizio fa schifo, ma è bello confrontarsi con le persone. Le presentazioni mi rendono ricca. Il titolo che ho scelto non è azzeccato per un'operazione di marketing, ma stavo affrontando un periodo di merda”. Si ferma e si corregge: “Ops, scusate, un brutto periodo, avevo bisogno di scrivere”. Valentina è un fiume in piena. Le parole sono ferme. Non traballano. Oggi riesce a dare un nome a tutto. “Ce l'ho fatta. Scrivere è stato terapeutico, se per terapeutico si intende qualcosa che obbliga a fare i conti con il dolore più profondo. Non è stato consolatorio, questo no. I libri sono consolatori, infatti sono una lettrice accanita”.

 

'Lo stupro non è banale'

Valentina è “una giornalista senza tesserino”. Laurea in legge, diversi lavori all'attivo. “Mi sono laureata in giurisprudenza perché con una laurea in lettere le prospettive occupazionali non erano delle migliori. Poi sono tornata a fare quello che mi piaceva fare: scrivere”. Ha scritto, tra gli altri, per Il manifesto ed il Corriere della Sera “e per la pagina culturale del Romanista, scusate ci tengo: sono di Roma”. Daje, si sente. “Facendo la giornalista ho cercato di capire: ho parlato con il 1522 (il numero antiviolenza, ndr) indagato, approfondito tutto ciò che mi interessava”. Poi ha scritto X, il suo primo libro, appunto. “In realtà nel cassetto ve ne sono altri due, realizzati prima e che non usciranno mai. Guardo avanti, mica indietro”. A stretto giro il libro la riporta al presente: “in queste pagine ho scritto ciò che non ho mai detto. Ho scritto che lo stupro non è banale. E non deve essere ritenuto tale. Non è un crimine compiuto dai mostri, dai disagiati. Non appartiene ad un contesto preciso”.

 

Un problema culturale

Il limite per tutti è lo stesso: “il no di una donna”. Spesso sommerso, resta inascoltato. Il senso di colpa, la disinformazione, la mancanza di prove, la paura portano a non denunciare. “Talvolta la mancanza di informazioni vive anche negli addetti ai lavori: oggi giocano un ruolo importante medici e psicologi, cui bisognerebbe rivolgersi entro 72 ore dall'accaduto e le associazioni che accolgono donne vittime di violenza”. Il fenomeno è diffuso: “in Italia si registrano 40150 stupri all'anno. Di questi ne viene denunciato solo il 10 per cento”. “Non voglio farne una questione di genere, ma è evidente che ci sia un problema”. Di carattere culturale, prima di tutto: “basti pensare che solo dal 1996 la violenza sessuale viene considerata un crimine contro la persona e non contro la morale pubblica”. Ad oggi “la società accetta un modello unico di donna. Certi difetti sulle donne non possono essere tollerati. E per non essere accettate basta poco. Basta essere vive”. Per Valentina l'ideologia fascista non ha aiutato: “è maschilista, porta ad oggettificare la donna: ma sia chiaro non tutti i fascisti sono stupratori e non tutti gli stupratori sono fascisti. Lo stupro, appunto, non è un crimine realizzato da alcune categorie. Il limite, lo ripeto, resta sempre il no”.

 

Donne e lavoro

Il tema è sempre quello “del rispetto e della valorizzazione di ciascuna”. Lo ha ben ribadito l'assessore Nichetti, accanto alle volontarie dell'associazione cremasca Donne contro la violenza. “Legato a questa concezione della donna, è anche il tema della precarietà. Una piaga, soprattutto nel mondo del giornalismo”, cui si aggiunge un altro dato su cui riflettere: "secondo un'indagine realizzata nel 2019 dalla Federazione nazionale stampa italiana, l'85 per cento delle giornaliste assunte ha subito molestie da superiori o colleghi. Non a caso, negli ultimi anni, in controtendenza con altri settori, il numero delle giornaliste occupate è diminuito”. Riprende tra le mani X, lo gira e lo rigira. Valentina non sta ferma. “Le presentazioni mi agitano, ma sono una grande occasione”. Per dire che la violenza fa schifo. Lo stupro fa schifo. Ma la vita no: “voglio andare avanti”, ecco la speranza.

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