07-07-2022 ore 20:41 | Cultura - Musica
di Andrea Galvani

Steve Vai in concerto al Vittoriale. Il rock’n’roll è strumento irriducibile di conoscenza e libertà

Ad un soffio dal quarto di secolo di Passion and warfare, con la quinta tappa italiana, l’Inviolate World Tour ha concluso il viaggio nel Belpaese in una delle sue ‘venue’ preferite: “circondati dall’arte, con un panorama magnifico sul lago”. Al pubblico osannante per tanta grazia ricevuta, pochi minuti prima della mezzanotte, Steve Vai ha raccolto l’abbraccio desiderato a lungo, "felice di essere ancora vivi e dopo tanti anni ancora qui in Italia a fare musica, tutti insieme, all’aperto”.

 

Rojatti vs Dang

La serata al Vittoriale è stata aperta da un sorprendente set di Gianni Rojatti con i DANG! coppia formata (al sax e batteria) da Marco Scipione e Daniel Fasano, bravissimi a sorprendere e quindi a dar ritmo ad una platea distratta dal caldo, dalle ristrettezze e ma sì, anche dai giardini e dalle sculture. Per loro (che hanno seguito Vai in tutta Italia) un meritato riconoscimento, rinnovato dalla capacità di introdurre con sfuriate fantasiose e ricchissime di brio il viaggio ai confini della realtà del grande protagonista della serata. La loro esibizione è un segnale di grande speranza per il movimento musicale italiano, assediato da influencer e impostori di ogni sorta.

 

Scorribande oltre l’infinito

Attesissimo e acclamato da cori e battimani, Steve Vai è stato supportato nell'unico e irripetibile viaggio da Bad Horsie a Whispering a prayer (passando per l’intramontabile Mississipi adventure) da fidati, rodati e sopraffini collaboratori: dal puntuale ed eclettico Dave Weiner (chitarra, tastiere), dalla strabiliante energia e dal carisma del bostoniano Philip Bynoe (basso), per finire col tatuatissimo, bollente e chirurgico Jeremy Colson (batteria). Sostenuto da una base ritmica da urlo, con le sue scorribande proiettate verso l’infinito e oltre, ha spesso reso complicato ‘il dovere tutto italiano' di restare buoni e bravi, ubbidienti e incollati nei ristrettissimi (e scomodissimi) gradoni di pietra. Il sessantaduenne alieno di Carle Place, newyorcherse della contea di Nassau, per due ore abbondanti ha portato a spasso intere generazioni di estasiati appassionati. Innumerevoli i rimandi, le citazioni e le riscritture, le improvvisazioni create sul palco di Gardone, col plettro, con l’uso delle dita o giocando con gli amplificatori e il vento.

 

Conoscenza e libertà

L’ingresso in anfiteatro col manico della sei corde punteggiato di blu, come una spada laser. L’uscita col cappellino in testa, gli stivali a punta e un migliaio di feedback dopo. Felice come un bambino. Ridendo di gusto. Tra gente sempre più convinta che il rock sia un patrimonio del genere umano da vivere spalla contro spalla, condividendo la gioia di essere vivi. E non solo uno strumento irriducibile di conoscenza e libertà. Del resto in 40 anni ha avuto modo di attingere al meglio e forse era presente quanto Frank Zappa lo diceva: “Senza deviazione dalla norma il progresso non è possibile”. Di certo sa perfettamente cosa significa. E soprattutto sa come si fa.

5490