05-02-2022 ore 20:02 | Cultura - Arte
di Milo Anastaso

Crema incontra l’arte che non deve chiedere il permesso: la storia e i disegni di Sergio

Crema è un porto di mare, anche se il mare non c’è. Sarà il richiamo del fiume, o l’anima delle sue paludi, quelle che facevano dell’odierna cittadina una Insula, circondata di acqua, oggi non più visibile ma persistente nel suo spirito. Crema accoglie: non si sa come ci si arrivi, poi si resta. Deve essere successo così anche a Sergio, giunto negli anni Novanta da Venezia, di cui conserva uno spiccato e limpido accento, carico di viaggi lontani e acque salate; racconta di aver cantato come tenore nelle corali per alcuni teatri italiani, da La Fenice a La Scala, ricorda Monteverdi e la musica del Seicento, Verdi e la bellezza dell’armonia.

 

Le emozioni

Ora che è andato in pensione dal suo lavoro di tenore, ha un nuovo modo di trasmettere le emozioni: il disegno e il collage. Le prime tracce appaiono a Crema tra le vie del centro, una bicicletta ricoperta di adesivi a formare un insieme stratificato, in qualche angolo grigio, all’improvviso il colore. Poi Sergio ha iniziato a costruire una esposizione di disegni a cielo aperto, ha inserito pezzo dopo pezzo nel tessuto della città, tra i sampietrini e le case, carte disegnate nelle quali esprime quello che sente e che vede, provando a condividerlo. Sergio usa i materiali a disposizione, su pannelli bianchi lasciati senza manifesti ha disegnato a matita una veduta di Venezia, il Canal Grande da cui svetta il profilo della chiesa di san Giorgio e un gondoliere che porta un passeggero sulla propria imbarcazione.

 

Potente e ironico

Ecco anche una lanterna, identica ad alcuni lampioncini cremaschi che guardano dall’alto il movimento nelle piccole piazze. Il tratto intenso e tremante ricorda quegli insiemi potenti e ironici di James Ensor, in cui il quotidiano diventa veicolo di messaggi simbolici, che tornano nella deformazione dei corpi e nelle linee dei volti dal fascino di maschera esoterica. C’è un grande ritratto di profilo con una mano che offre una rosa, sullo sfondo uno scorcio di città, una figura che osserva da un terrazzino e un Cristo crocefisso in una piccola icona. I volti e le persone che osservano, tornano nei piccoli disegni a lapis o a pastello, incastrati tra le grate e le finestrelle raso terra dei palazzi che conducono da via Dante a piazzetta Terni de’ Gregorj, dove si trova il Museo civico, quasi a tracciare un cammino ideale da un’arte senza mediazioni e senza patria a quel luogo dove è ufficialmente a casa.

 

La dimensione pubblica

L’arte non deve chiederci il permesso, questo è quello che dicono i disegni di Sergio, fatti a matita, o con l’aiuto della penna biro e di qualche pastello, sgorgano naturali e forti, ci dicono che sono fatti per esprimere un senso, per appassionarci e che la dimensione pubblica è il luogo per trasmettere anche le emozioni. L’augurio è che l’arte di Sergio ci porti poi a riflettere, ad acuire la nostra curiosità e capire qualcosa di più di una città e delle persone che, anche temporaneamente, la abitano.

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