04-10-2022 ore 20:05 | Cultura - Incontri
di Gloria Giavaldi

Cyberbullismo. Ad Offanengo la storia di Carolina: 'le parole fanno più male delle botte'

“Le parole fanno più male delle botte. Spero che ora possiate essere più sensibili con le parole”. È stato questo l'ultimo pensiero di Carolina Picchio, 14 anni. L'ultimo, prima di gettarsi dal terrazzo di casa, a Novara, nel 2013, dopo essere stata fatta ubriacare e molestata da un gruppo di coetanei, che avevano poi diffuso tutto in rete. I cinque ragazzini coinvolti in questi anni hanno seguito percorsi di rieducazione, hanno ammesso le imputazioni a loro carico. Oggi i reati contestati, che andavano dalla violenza sessuale, alla diffusione di materiale pedopornografico fino alla morte come conseguenza di altro reato, sono stati dichiarati estinti. Carolina è stata “la prima vittima acclarata di cyber bullismo in Italia. A lei è dedicata la prima legge italiana sul tema. Non era una ragazza problematica. Era bella, sportiva, gentile e brava a scuola”. La voce, nella sala polifunzionale dell'oratorio di Offanengo, è quella di Paolo Picchio, il padre di Carolina, presidente onorario della fondazione che porta il nome di sua figlia. “Carolina mi ha lasciato un testimone. Voglio raccontare la mia esperienza ai ragazzi, ai genitori, ai docenti. E voglio parlare anche ai bulli. Lo faccio perché non voglio che ci siano altre Carolina. Riflettete, prima di postare”. Ad ascoltarlo, nell'incontro organizzato giovedì 29 ottobre dall'istituto scolastico Falcone e Borsellino di Offanengo, genitori e docenti della scuola primaria e secondaria. “Questa mattina – dice ancora – ad Offanengo e Romanengo ho incontrato i vostri ragazzi. Per me è sempre emozionante”.

 

Responsabilità

Picchio vuole parlare ai giovani “affinché acquisiscano una maggiore consapevolezza del mondo web”. Ma è convinto che “la responsabilità sia soprattutto dei genitori. I cellulari vengono dati in mano ai ragazzini quando sono troppo piccoli. Li sanno usare certo, sono nativi digitali, ma non possono capire che hanno tra le mani un'arma. Servono delle regole, perché a quell'età i ragazzi non sono ancora in grado di gestire le emozioni”. E poi è “necessario tornare alla fisicità”. In un'epoca in cui la tecnologia ha sostituito in larga misura il contatto fisico “bisogna tornare ad abbracciarsi. Perché un abbraccio è accoglienza, è senso di appartenenza. I ragazzi hanno bisogno di parlare. Sta a voi aiutarli”. I dati sul tema sono impressionanti. “Nel 2021 il 70 per cento dei ragazzi sono stati derisi e il 30 per cento di questi ammette di non avere adulti di riferimento”. Bisogna cambiare, “bisogna capire che per loro non ottenere un like è un dramma, che essere derisi dal gruppo è un dramma”. Nel 2021 sono stati 200 mila i ragazzi ricoverati per autolesionismo. Perché? “Perché non riescono a superare il dramma, tenendo bene a mente che trascorrono il 50 per cento del loro tempo nel mondo virtuale”. Allora “sta agli adulti esserci, accompagnarli. Perché questi ragazzini non hanno la resistenza, non hanno la resilienza”.

 

Questione sociale

Il problema “non è di natura culturale. È di natura sociale”. Dati alla mano, “nel 2021 quattromila ragazzi tra i 14 e i 19 anni si sono tolti la vita. È compito dei genitori e degli insegnanti educare, condurre fuori come suggerisce l'etimologia, accompagnare questi giovani verso la vita. È importante che sappiano le tabelline, ma è meglio che sappiano relazionarsi”. Nel 2021 c'è stato un grande incremento del fenomeno di cyber bullismo: “i casi segnalati alla nostra fondazione sono passati da 50 a 300 in un mese. Noi ci siamo per raccontare ad ogni ragazzo che è un'opera d'arte, per dire no all'omertà, per fare capire che non basta proporre percorsi di educazione digitale, serve dare ai ragazzi delle regole, degli strumenti. Per aiutarli a comprendere che dall'altra parte dello schermo c'è sempre un essere umano con le sue fragilità”.

 

Social network, luoghi da vivere

Con Picchio durante l'incontro anche la psicologa Valentina Varvaro. “La storia di Carolina ci ha mostrato tutto il male, ma dobbiamo capire che bullismo e cyber bullismo non sono il problema. Sono, piuttosto, la conseguenza di comportamenti scorretti che teniamo nella quotidianità”. In primo luogo, agli adulti è utile “cambiare prospettiva. I social non sono strumenti, non li usiamo. Sono luoghi, che abitiamo. Che viviamo. Sono ambienti di divertimento, ma anche di apprendimento ed esperienze. Sono luoghi in cui i ragazzi crescono, che gli adulti sono chiamati a conoscere per poi vigilare sui rischi. I genitori sono chiamati ad interrogarsi, a chiedersi e a chiedere ai ragazzi perché tutto questo piaccia così tanto: la sfida si gioca sulla relazione”. I dati messi a disposizione dalla Fondazione Carolina ci dicono che il 98 per cento dei ragazzi ha un profilo attivo sui social network e che il 70 per cento naviga senza controllo dei genitori. Da Instagram a Tik Tok fino a social meno conosciuti, Varvaro ha passato in rassegna impatto psico educativo e rischi di ciascuno. Infine, l'affondo: “non scambiate il tanto tempo trascorso sui social dai ragazzi con la dipendenza. Quest'ultima è legata a perdita di interessi, problemi di sonno, marcata tristezza, impedimento a parlare, isolamento ed esclusione”. Il primo passo sta nel continuare a parlare di questi temi. Lo vuole fare convintamente l'istituto comprensivo diretto da Romano Dasti. Il prossimo appuntamento con questo ciclo di incontri dedicato al cyberbullismo si terrà il 14 ottobre.

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