04-04-2014 ore 18:10 | Cultura - Storia
di Luigi Dossena

Historia et Imago Cremae. Il sacro tempio dei cremaschi dal IV secolo al 1284, ovvero dalla prima chiesetta sopra il dosso de l’Idolo allo splendido duomo

Il tempio più caro ai cremaschi ha una storia molto antica e articolata: dalla rozza chiesetta alla prima cattedrale, in stile tardo romanico lombardo distrutto dal Barbarossa fino al secondo Duomo iniziato nel 1284 in perfetto stile gotico lombardo. Andiamo per gradi: ebbene sì, quasi tutte le fonti storiche sarebbero concordi nello sposare la tesi della prima chiesetta posta sul cocuzzolo dell’isola chiamata della Mosa, al centro dell’insula del Fulcherio o, se vi piace, delle Izole Fulkerii. Era uno dei tanti dossi che punteggiavano l’area cremasca, sorgendo dalle acque acquitrinose al tempo delle invasioni barbariche. L’isola della Mosa oggi è conosciuta come piazza Duomo, posta a 78,99 metri sul livello del mare.

 

Il dosso de l’Idolo

Dovendo scegliere fra le fonti accreditate e le tante ipotesi, iniziamo ad avventurarci fra le nebbie del tempo, così ci fermiamo al IV secolo. Era il tempo delle persecuzioni dei cristiani che fuggendo trovarono ricetto sopra il dosso de l’Idolo (o dosso della Mosa). Colà costruirono prima dei tuguri, delle capannucce, per ripararsi, in seguito innalzarono il loro piccolo tempio votivo per le preghiere; ricordiamo che le divinità a quei tempi erano per lo più pagane. La costruzione della chiesetta fu dedicata a santa Maria della Mosa, traducendo il pensiero dei raminghi, la casa della Madonna della Palude.

 

I fedeli proto-cristiani

Nel 1547 durante lo scavo per le fondamenta del Palazzo Comunale, venne alla luce una sepoltura recante un’icastica incisione: 315. Era un  reperto che i fedeli proto-cristiani cremaschi avevano inciso per onorare la conta degli anni? Nel 570 la chiesetta fu dedicata all’Assunta dai cremaschi minacciati da Alboino, primo re dei Longobardi d’Italia. Pietro da Terno scrive che il nome Santa Maria della Mosa era attestato dalle antiche bolle apostoliche. Il primo documento che prova la Ecclesia Sancte Marie di Crema, del 1 gennaio 1098 è la famosa donazione di Matilde di Canossa che lascia tutto il cucuzzaro cremasco al vescovo di Cremona.

 

Il sisma del 1117

Passano diciannove anni, siamo nel 1117, quando un terremoto di inusitata violenza scosse il nord Italia. Il devastante sisma “picchiò duro” per tre giorni ed innumerevoli edifici pubblici, privati e di culto, crollarono o furono gravemente danneggiati, per citarne due: il costruendo duomo di Cremona e quello di Piacenza. Che anche il nostro proto-Duomo appena in costruzione abbia avuto la stessa sorte? Guido Verga indica come ipotesi il 1129 per l’inizio dei lavori in perfetto stile tardo romanico-lombardo, momento in cui i fedeli cremaschi si staccano dalla Chiesa cremonese per affidarsi alla guida spirituale del vescovo di Milano. A suffragare questo fatto esistono due carteggi, il primo datato marzo 1143, il secondo Luglio 1148.

 

L’anno orribile, il 1160

Andiamo al 1160, l’anno horribilis, noto alle cronache fra le corti d’Europa perché su Crema ci mise le insanguinate mani e purtroppo anche i picconi il Barbarossa. Del sacro edificio rimase solo l’impianto planimetrico, il complesso absidale, la sacrestia e, bontà del Barbarossa, parte del campanile. Anche il battistero rimase funzionante fino al 1410, quando ci pensò il cremasco Giovanni Benzoni a fargli la festa: lo fece infatti demolire, anche se solo parzialmente.

 

Cappella Creme, la retrocessione

Ma torniamo al Duomo. Con la bolla di papa Innocenzo III - In Eminenti - si dichiarò la chiesa sottoposta a Palazzo Pignano, che a sua volta riferiva al vescovo di Piacenza. Fu così che il nostro sacro edificio venne definito come Cappella Creme, in definitiva una retrocessione, come cita monsignor Zavaglio, da ecclesia a semplice oratorio.  Fra il 1170 e il 1212, periodo che intercorre fra le rovine e una parziale ricostruzione, il Duomo di Crema era ancora attivo, in forma di sede di Colleggiata. Ritroviamo il Barbarossa il 7 maggio 1185 fra le rovine del Duomo, accanto all’arcivescovo di Milano, quale gran cerimoniere della ricostruzione con relativa santa messa.

 

Le rovine, la ricostruzione e Alpinolo

Per cent’anni i cremaschi, nonostante le rovine, si riunivano per assistere alle cerimonie religiose. Verso il 1284 decisero finalmente di costruire una nuova cattedrale. Abbatterono ciò che rimaneva dell’antico e sacro edificio; i pochi resti furono inglobati all’interno dei nuovi muri, usufruendo così delle possenti fondamenta romaniche. I lavori si fermarono nel 1286, dopo due anni a causa delle solite beghe fra Guelfi e Ghibellini. Nel 1295 si iniziarono di nuovo i lavori, che durarono fino al 1301. Nuovo stop. Passiamo al 1305, i cremaschi sono di nuovo al lavoro fino al 1311. Nuovo alt. Dal 1315, avanti tutta fino al 1319, infine dal 1332 giungiamo al 1341 quando i lavori terminarono. Era il tempo in cui Crema era sotto la signoria dei Visconti. Nel 1301 i costruttori posero una lapide appena al di sopra l’arco del portale maggiore, era il livello a cui la costruzione era giunta. Nel 1305 un’altra lapide venne collocata appena sotto il maestoso rosone, quello opposto al centro della facciata d’ingresso. Notiamo però che la facciata fu l’ultima parte del Duomo ad essere terminata. Il podestà di Crema che festeggiò la fine dei lavori fu Alpinolo da Casale Milanese.

 

Il biscione Visconteo

Nel 1311 Alemanio Fino e Pietro da Terno scrivono che gli architetti che ultimarono i lavori incisero il proprio nome sulla lapide e la fecero apporre sopra l’arco destro della quarta campata. Cita Pietro da Terno: “Nell’arco primo della banda destra dalla meridionale porta di la Gesa gli è scrit che nell’anno 1311 erano a la fabrica superstiti” cioè sovraintendevano G. Jacopo de Gabiano et Gratio de Prata. Non sappiamo nient’altro su i due architetti che terminarono i lavori, ed essendo passati 57 anni dall’inizio, ben difficilmente furono gli ideatori ed i primi esecutori del progetto originale. Dopo quattro anni dalla fine dei lavori, cioè nel 1345, il podestà di Crema Salio di Landriano fece affrescare sulla facciata ai fianchi della bifora centrale le insegne nobiliari del signore di Crema, cioè fu dipinto il biscione Visconteo vergato da una lunga didascalia, che ancor oggi si può parzialmente leggere. Lo stesso podestà Salio di Landriano fece dipingere l’immagine di Sant’Ambrogio in affresco fra il rosone e il portale. Altri affreschi erano picti sulla facciata sotto le bifore inferiori, poco rimane di quegli antichi dipinti, solo parte della calce preparatoria e qua e là i tratti di alcune aureole. Con molta probabilità appartenevano ad alcuni santi a cui la chiesa cremasca era particolarmente devota. Un’altra fonte cita che, accanto al loro stemma nobiliare, erano dipinti Giovanni e Luchino Visconti… chissà?

 

Mattoni ocra, rosa e miele

Chiudiamo con i mattoni. Ne furono fatti di tutti i tipi, variamente sagomati ed al momento intagliati, non si servivano di stampi o matrici precostituite, perciò ogni mattone veniva sagomato singolarmente. Ed è il colore della cattedrale che colpisce, una calda miscela come con estrema leggiadria, poetando, chiosa Clara Gallini, la fonte da cui abbiamo attinto “il colore, delicata mescolanza di ocra e carminio color di rose e di miele”.

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