03-10-2020 ore 11:40 | Cultura - Proiezioni
di Chiara Grossi

Lacci. Un cast sublime e opportuno, con una famiglia slacciata, i rimpianti e la malacqua

Lacci, con Silvio Orlando, Laura Morante, Alba Rohrwacher e Luigi Lo Cascio è l’ultimo film di Daniele Lucchetti tratto dal romanzo omonimo di Domenico Starnone. Dal momento che non vi è alcuna necessità di soffermarsi su un cast così sublime e opportuno…diventa veramente complesso scrivere di questo film, in quanto non si sa da dove iniziare e non si sa come finire. La storia è ambientata tra Roma e Napoli e si snoda tra la fine degli anni ottanta e l’oggi.

 

Una famiglia slacciata

I luoghi tuttavia potrebbero essere gli stessi raccolti attorno all’angolo in fondo alla via di casa, così come il tempo è quello di sempre, nonché quello di mai. Si racconta di una famiglia che forse è capitata, un po’ come tutte e si racconta dei suoi sistemi che gravitano, si scontrano e si allontanano come fili elastici. C’è chi non parla perché non sa cosa pensa, chi pensa e vomita parole non dette, chi guarda con gli occhi illusi il franare dei legami e chi si disarticola tra le parole e le lacrime. L’obiettivo non perde mai di vista il particolare della luce che taglia il viso inumidito, delle labbra che sussurrano a fatica, degli sguardi vuoti che cercano una risposta in loro stessi. Ogni inquadratura segue il ritmo dell’emozione che trasuda dai cocci rotti di una famiglia slacciata e il vuoto che scava tra le asole dei lacci delle scarpe.

 

Rancori e rimpianti
È difficile e complicato esprimere a parole ciò che “Lacci” getta addosso con vigore. Eppure non fa così male: è come una bomba che non ha più forza per esplodere; la si teme ma fino ad un certo punto, superato il quale ci si arrende, si smette di cercare il dolore, di provare a distruggere ciò che si è costruito. Forse perché ci si accorge che le fondamenta sono sempre state instabili e sempre lo saranno. Così si rimane scioccati, sfiniti e anche un po’ sollevati di fronte alle macerie della propria casa e ci si chiede se tutto si riduce a questo, se è stato davvero così necessario tentare e ritentare di allacciarsi le scarpe in quel modo ridicolo. “Lacci” è un film di voci d’ovatta, di abbandono, di rancori e rimpianti. È un film in cui, nonostante il sole, si percepisce sempre, da qualche parte, quella pioggia scrosciare, si sente sempre la “malacqua”. Questa recensione è frutto del lavoro dei partecipanti al laboratorio Intrecci+, finanziato da Fondazione Cariplo.

 

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