"Facciamo rumore" e rumore è stato fatto. Oggi pomeriggio, in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, in piazza Duomo a Crema centinaia di persone si sono date appuntamente e hanno preso parte alla marcia organizzata dal comune e dalla consulta giovani. Donne, uomini e bambini tutti uniti con un solo scopo: 'non una di più'. Rumore, applausi, tamburelli e slogan hanno svegliato il centro di Crema in una processione fino alla basilica di santa Maria. Un’emozionante iniziativa che ha voluto commemorare Giulia Cecchettin e tutte le altre donne vittime di violenza di genere. Una folla sinceramente commossa, una presa diretta dei cittadini che non tollerano più risvolti tragici, uniti tutti insieme contro la violenza di genere in qualsiasi forma.
L'iceberg della violenza
Ma cos’è realmente la violenza? Davanti all’ennesimo caso di femminicidio in cui si possono leggere testimonianze, pensieri e dettagli è ancora più evidente come le dinamiche di una cultura patriarcale siano così lampanti e radicate in una società che necessita di un profondo cambiamento culturale. Il femminicidio è la punta dell’iceberg delle violenze di genere, la manifestazione più efferata che si possa immaginare. In questa montagna di ghiaccio fanno parte tutta una serie di comportamenti, apparentemente innocui, che legittimano un rapporto di subordinazione della donna. Dietro a uno stupro non c’è un vestito provocante né una donna ubriaca da colpevolizzare. Dietro a un femminicidio non c’è una relazione affettiva finita.
Cultura patriarcale
Dietro a una battuta sessista non c’è goliardia da spogliatoio. Quello che si cela dietro tutte queste forme di violenza di genere è la cultura patriarcale, costruita su una narrazione dei rapporti dove l’uomo, per propria natura, è legittimato a prevaricare, controllare e possedere la donna. L’uomo non può chiedere aiuto, non può mostrare debolezze e sentimenti, altrimenti che uomo sarebbe? Si è molto discusso sull’affermazione 'not all man' (non tutti gli uomini): certo nessuno vuole definire tutto il genere maschile come odiatore delle donne e omicida, ma cosa si fa realmente per contrastare la sensazione di paura che ogni donna ha provato almeno una volta nella vita? Non tutti gli uomini certo, ma tutte le donne.
Deumanizzazione del carnefice
La narrazione dei fatti è anch’essa una forma di violenza: gli stessi media sono i fautori di una sbagliata comunicazione con la società. Si tende a romanticizzare la tragedia, “delitto passionale”, quante volte è capitato di leggere un titolo simile. No, non è un delitto di passione. La vittima, nella narrazione della stampa subisce una seconda violenza, postare foto della vittima insieme al suo carnefice è violenza, definire l’assassino come “un bravo ragazzo” è violenza. Descrivere l’uomo come un “mostro” un “pazzo” non è descrivere la realtà. La deumanizzazione di chi esercita una violenza di genere contribuisce a rendere il fenomeno relegato solo a “persone instabili”, “mele marce”, in parte deresponsabilizzando lo stesso carnefice, quando è semplicemente il frutto di una società in cui siamo immersi tutti, donne e uomini.
La narrazione della violenza
La violenza di genere viene spesso raccontata come il frutto di un raptus, di un istinto animale, quando invece dovrebbe essere narrata per ciò che è: un atto di prevaricazione della donna in quanto tale che ha come scopo la sua addomesticazione. In qualsiasi fatto di cronaca relativo a femminicidi, abusi fisici e psicologici, la narrazione è importante, le parole sono fondamentali in quanto definiscono nel lettore un'immagine ben delineata della realtà.