06-08-2014 ore 12:42 | Cronaca - Palestina
di Andrea Galvani

Parlamentari per la pace. Bordo: “distrutta mezza Gaza. A Hebron abbiamo visto dei ghetti. Il Governo italiano blocchi la vendita di armi ad Israele”

“Dopo essere atterrati a Tel Aviv, ci hanno velocemente trasferiti a Gerusalemme e abbiamo subito incontrato il console Davide La Cecilia per un primo approccio con la realtà che avremmo incontrato di lì a poco. Il console ci ha illustrato la situazione e senza tanti giri di parole ci ha detto in modo chiaro che a Gaza è in atto un massacro e che se non si interviene velocemente l'intera popolazione è sul precipizio”.

 

La strategia di occupazione

Il deputato cremasco Franco Bordo ha preso parte alla delegazione dei Parlamentari per la Pace, partita la mattina di venerdì 1 agosto e rientrata la sera del 4 agosto. “E' stata un'esperienza devastante”. Ai parlamentari italiani, un gruppo composito, formato da persone con provenienze politiche diverse il console ha confermato che “Israele non sta rispettando l'accordo di Oslo e ha in atto una strategia di occupazione dei territori che mette in pratica giorno dopo giorno, metro quadrato dopo metro quadrato”.

 

La constatazione

Dichiarazioni constatate di persona con visite e sopralluoghi in varie città della Cisgiordania: Gerusalemme, Ramallah, Betlemme e soprattutto Hebron, “dove abbiamo trovato la situazione più drammatica. La maggioranza di noi è partito con posizioni di equidistanza verso il conflitto, vuoi per il ruolo di Israele, vuoi per Hamas e devo dire che ognuno di noi ha visto di persona cosa accade e ha ridefinito le proprie posizioni”. Come raccontato da Meri Calvelli, referente italiano della Ong Internazionale Acs, uscita da Gaza due ore prima “pian piano tutti stanno arretrando verso il mare per cercare di evitare le bombe. La striscia di Gaza è larga 12 chilometri e lunga 40, ci vivono 1 milione 800 mila persone, con una densità altissima. Ora la striscia di distruzione è di 6 chilometri. Praticamente è stata rasa al suolo mezza Gaza”.

 

L'apartheid ad Hebron

“Impossibile fare altrimenti – riprende Bordo – impossibile non rivedere le proprie convinzioni quando ad Hebron, una trentina di chilometri a sud di Gerusalemme vedi coi tuoi occhi l'apartheid. Sì, apartheid, perché delimitare fisicamente spazi di accesso alle case, chiudere vie commerciali per impoverire e mettere di fatto sul lastrico un'economia già misera, non è altro che apartheid. Chiudere l'erogazione dell'acqua e dell'energia elettrica o aprirla a seconda della propria discrezione è apartheid. A Hebron, una città universitaria un tempo celebre per l'uva, i vetri e le ceramiche, una città di 200 mila abitanti che prende il nome da Abramo e che potremmo tradurre come 'amico', abbiamo visto dei ghetti, voglio dirlo molto chiaramente”.

 

Non uno solo ma centinaia di muri

“Nelle altre città – spiega il deputato cremasco - non è da meno, ma ad Hebron è particolarmente grave. Quello che siamo sempre stati abituati a chiare 'il muro', ossia una solo, in realtà è falso; ci sono centinaia di muri. I palestinesi vivono in realtà contingentate e in continua restrizione. Israele con la politica di sostegno ai coloni ha dato avvio ad una politica di occupazione militare. In pratica sostengono le famiglia di coloni nell'occupazione dei territori che erano stati assegnati alla comunità palestinese. Viene poi costruito un appezzamento coltivato, una casa e per ogni famiglia di coloni Israele disloca 10, 11 militari a difesa e ad affermazione dell'occupazione. Ho visto di persona una casa presidiata da un militare. Ci ha detto di stare lontani: “non entrate nella via perché ho l'ordine di sparare”. Era un ragazzo di 20 anni e aveva un mitra in mano. Era a guardia di un viottolo dove prima c'era una famiglia palestinese, è stata mandata via ed ora c'è un colono con il drappello di militari. Così si fa, pezzo dopo pezzo”.

 

L'opposizione interna all'ultradestra di Israele

I deputati italiani hanno avuto molti incontri con i colleghi parlamentari israeliani e palestinesi, con associazioni miste, formate dai parenti delle vittime del conflitto, sia israeliane che palestinesi: “mi hanno lasciato un filo di speranza gli incontri con esponenti della società civile israeliana e con le associazioni di pacifisti israeliane che lavorano per una soluzione condivisa e pacifica. Ci hanno pregato di raccontare che le posizioni di ultradestra del governo sono combattute, che non demordono anche davanti alle intimidazioni dello Stato, con la polizia che arriva dentro casa in modo arbitrario e persino con arresti preventivi. Ho incontrato una madre israeliana che ha perso la figlia di 12 anni, trucidata da un kamikaze palestinese; mi ha spiegato di aver voluto elaborare il lutto, terribile, per cercare di trovare una soluzione di pace per l'intero Paese. E' una posizione che non piace allo Stato, per questa sua compassione viene criminalizzata da Israele”.

 

L'ospedale di Gerusalemme

Accompagnati dallo staff del consolato, i Parlamenti per la pace si sono recati in un ospedale gestito da una fondazione cattolica di Gerusalemme che accoglie i primi fuoriusciti da Gaza dopo i recenti bombardamenti: “in particolare i bambini, è stata un'esperienza devastante. Ci hanno pregato di vedere coi nostri occhi e di documentare, fotografare le condizioni di questi pazienti; mutilati, ustionati su tutto il corpo, coma, morte cerebrale. E' stata una visita emotivamente molto forte”.

 

Il centro raccolta di Ramallah

Israele ha rifiutato il permesso di entrare a Gaza per portare un camioncino di aiuti. La delegazione italiana ha deciso di fermarsi alcune ore a Ramallah, nel centro di raccolta e smistamento degli aiuti della cooperazione internazionale: “abbiamo dato loro una mano, un aiuto ed un conforto, perché non si sentissero abbandonati, soli, nella preparazione di questi aiuti, che quando il governo israeliano lo permetterà, finalmente potranno entrare a Gaza”.

 

Il conservatorio di Betlemme

“Oltre ad un'enorme disperazione – spiega Bordo - abbiamo trovato anche segnali di speranza incontrando personale delle Ong italiane che operano in Palestina presso il conservatorio di Betlemme. Sembra di entrare in un altro mondo, la struttura è piccola ma moderna, accogliente, s'insegna la musica. Abbiamo visitato anche un laboratorio di liuteria e appreso che a ottobre potrebbe arrivare uno studente a Cremona e Reggio Emilia per studiare musicologia. Mi preme sottolineare che ci sono comunque sforzi per rendere normale la vita nonostante questa situazione”.

 

L'embargo della vendita di armi

Ora i membri della delegazione avranno momenti di confronto e informazione. “Metteremo in campo azioni di sostegno concreto alla popolazione nel settore scolastico o sanitario; stiamo pensando alla ricostruzione della scuola recentemente distrutta e realizzata dalla ong Terre di Mezzo. Avvieremo una raccolta fondi e faremo pressione sul governo perché sostenga il cessate il fuoco e decreti l'embargo della vendita di armi per Israele, perché Italia, sia chiaro a tutti, sta fornendo molti sistemi di arma a quel paese”.

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