02-04-2017 ore 18:26 | Cultura - Teatro
di Paola Adenti

Tappa: il ritratto di una città visto da occhi estranei in scena al teatro san Domenico

Una settimana, sette giorni per indagare, parlare, cucire e mettere in scena uno spettacolo. Un’impresa che a molti lavoratori del settore teatrale potrebbe apparire impossibile. Una sfida all’interno di un progetto per quattro ragazzi toscani riuniti, dal 2006, nella compagnia teatrale Gli Omini. Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Giulia e Luca Zacchini sono arrivati in città il 23 marzo e per alcuni giorni hanno perlustrato il centro storico, le vie e le piazze, la Fiera di Santa Maria, il bocciodromo, il Campo di Marte, i giardini pubblici, la stazione, i negozi. Senza schema o suggerimenti e liberamente hanno avvicinato persone, hanno chiacchierato con loro cercando di carpire l’atmosfera, il vissuto del luogo per poi regalarlo al pubblico in teatro, sul palco del S. Domenico, la sera del 31 marzo.

 

Tortelli e giús

Tre Omini in scena e Giulia Zacchini dietro le quinte per restituire ai cittadini ciò che hanno rubato in settimana. Parlano uomini e donne, giovani e meno giovani, dando vita a figure caratteristiche che si intravedono dietro la maschera del teatro. Si parla di tutto: dalla fede alle basi dell’educazione che vengono meno, della famiglia unita o divisa, a presunti e reali atteggiamenti di razzismo tra i tormentoni del mistero sul ripieno dei tortelli cremaschi e l’odore di giús che invade a folate l’aria in città. Gli attori scivolano velocemente da un personaggio all’altro, interscambiabili, ora intervistatori ora cittadini. Apprezzabili i tentativi di far propri intercalari del luogo e la cadenza cremasca.

 

Crema nostalgica

Ne esce il ritratto di una città dal magnifico centro storico, con la sua piazza salotto, i tanti palazzi, una città ricca di dottori, ingegneri, avvocati ed architetti, ma anche popolata da curiosi personaggi, feriti da vicissitudini, sfiduciati, più spettatori che attori della propria vita. Una città con i problemi di tutti i luoghi di provincia, che guarda con nostalgia agli anni del benessere economico portato dall’avvento delle fabbriche. In tanti hanno parlato a Gli Omini della Ferriera, della Bonaldi, della Olivetti. Coinvolta nella performance anche una giovane danzatrice cremasca, Chiara Manghisi. Il pubblico sorride, si sente in parte coinvolto, applaude mentre gli attori, al termine, ringraziano tutte le persone che hanno donato le parole necessarie ad intessere la trama dello spettacolo.

 

Voce agli Omini

Ci si incontra al tramonto nel salotto buono della città nella quale hanno vissuto una decina di giorni, alcune ore prima di andare in scena. Hanno avuto poco tempo, come prevede il format dello spettacolo, per imparare le parti dopo aver sbobinato ore di racconti, trascorso giornate intere in teatro e provano ora un po’ di trepidazione perché “... con Tappa, ogni prima è unica”. Raccontano di essere stati ospiti per la prima volta di Crema, ma non del territorio in quanto presenti nell’estate 2015 nella rassegna Odissea – Festival della valle dell’Oglio con lo spettacolo L’asta del Santo.

 

Crema è stata una città collaborativa?

Solo in parte. Abbiamo in effetti incontrato molte persone diffidenti. In genere le gente ha voglia di parlare, confidarsi, raccontarsi. A volte fungiamo da confessori o psicologi, soprattutto in centri piccoli, paesi, quartieri. Forse Crema è troppo grande per un coinvolgimento più importante. Va anche detto che è una città che cammina. La gente si sposta continuamente, non si ferma. Abbiamo comunque raccolto materiale e portato in scena la nostra visione del luogo.

 

Qual è la tempistica dell’allestimento di Tappa?

Conduciamo tre o quattro giorni di indagini ed ascolto poi passiamo alla scrittura e allo studio dei testi uniti alla messa in scena in teatro. Forse per Crema la prima parte del progetto è stata troppo breve, ma è giusto che sia così. Conduciamo un’indagine antropologica di superficie, da primo sguardo, che permette comunque di trovare uno spiraglio di apertura verso l’altro e questo è accaduto pure qui. La diffidenza talvolta è solo un’iniziale barriera da superare per entrare in confidenza.

 

Qual è stata l’età media delle persone incontrate?

Non c’è stata un’età media. Abbiamo parlato con giovani, anziani, emarginati. Meno donne che uomini, questo sì.

 

Continua la “memoria del tempo presente”?

Sì, questo è una sorta di cappello riassuntivo del nostro metodo di lavoro, nato in dieci anni di attività. Un progetto che ogni volta parte da zero, tutto da scrivere ad ogni tappa.

 

Quali sono i prossimi impegni della compagnia?

Un mese, quello aprile, fitto di spettacoli su e giù per la Penisola. Continueremo inoltre a lavorare al Progetto T, che alcuni Enti toscani ci hanno chiesto di elaborare. Si tratta di un progetto che coinvolge la linea ferroviaria porrettana che va da Porretta a Pistoia. Lo step numero uno riguardava la vita nella stazione e da qui è nato il primo spettacolo; il secondo anno abbiamo incontrato e portato in teatro la vita dei pendolari sulla linea. Da giugno inizieremo a lavorare alla terza fase del progetto. Indagheremo i paesi attraversati dalla restante parte della tratta, da Porretta a Bologna e andremo in scena proprio a Bologna in ottobre. Ah, Tappa a Crema è stata la ventesima tappa di Tappa!

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