30-10-2017 ore 19:07 | Cultura - Libri
di Lidia Gallanti

Diastemata. Nel suo primo romanzo Sara Locatelli racconta il suono della distanza

Diastémata è la distanza che intercorre tra due note, uno spazio impercettibile fatto di vibrazioni leggere, così sottili che rischiano di sfuggire all’udito e trasformarsi in silenzio. È la metafora delle relazioni umane, dove un segreto taciuto può dividere o tracciare la strada per ricomporre le esistenze in una nuova melodia. Diastemata è il titolo del primo romanzo della docente e scrittrice Sara Locatelli, che giovedì 2 novembre alle 21 sarà presentato al pubblico presso la biblioteca comunale di Crema, in compagnia del professor Vittorio Dornetti e delle letture scelte dall’attrice Rosa Messina.

 

Lo spazio tra mito e realtà

Laureata in lettere antiche, Sara Locatelli insegna letteratura italiana e latino al liceo Racchetti di Crema, la sua città, dove vent’anni prima ha scoperto la passione per il mondo classico: "Sono sempre stata affascinata dal mito. Per me è un rifugio, una parentesi astorica , un sogno e un'illusione che spesso si cerca d ripiegare nella realtà quotidiana quando con questa manca il contatto”. La tragedia antica è fonte ispiratrice per Diastemata, in cui s’interroga sul senso della sofferenza ripercorrendo lo schema classico della catarsi “intesa come meccanismo per fare del dolore la base su cui ricostruire, ricomporre ciò che siamo e conoscere la verità”. Ambientato nell’epoca contemporanea, il romanzo affonda le radici nel cuore del XX secolo, tra la fine del secondo conflitto mondiale e il crollo del muro di Berlino, “emblema di ciò che divide e non unisce, nel mondo fisico come nelle relazioni”. La storia si articola su tre generazioni di donne – una nonna, una madre e una figlia – alle prese con una catena di segreti che determina passato e futuro delle protagoniste.



Il coraggio di desiderare
Un romanzo femminile ma non femminista
, senza estremismi né supremazie: ognuno è chiamato a riconoscere i limiti dell’altro per riconoscerlo e ricomporsi, completarsi. “Spesso i dialoghi si traducono in monologhi, viene meno lo scambio, la costruzione – continua l'autrice – Il non detto deve essere ricostruito per non perdere senso,ma è necessario parlare per arrivare all'altro". Spesso occore scavare nel passato per dare senso al presente, anche se per farlo ci vorrà una vita intera”. Diastemata assomiglia ad una fabula, ma senza lieto fine: “La vita non è una favola, così come la conclusione non è la ricostruzione delle esistenze, è più una ricomposizione”. La stesura ha richiesto un anno e mezzo d’impegno: "scrivere è stata un'enorme fatica – confessa Sara con un sorriso – ho investito ogni minuto libero,  l'appoggio della mia famiglia è stato fondamentale. Questo lavoro è dedicato alle mie figlie, per trasmettere un'idea di coraggio nel coltivare le proprie passioni. Una donna può decidere di essere ciò che desidera."

 

La giusta chiave
Donna, insegnante e mamma, Sara racconta la complessità dei rapporti umani: “Abbiamo paura di svelarci e non essere riconosciuti, non essere accettati ed essere abbandonati come sacchi svuotati. Scavare dentro se stessi a volte è un rischio ma è ciò che rende vera una relazione”. La parola diventa così lo strumento per indagare il rapporto tra essere e apparire: “Siamo sempre connessi, sempre visibili, tanto più vicini quanto più lontani: c’è l’esigenza spasmodica di apparire e mettere in piazza ogni istante della propria vita, sembra quasi che non ci siano più segreti. Oggi è questa la distanza che dobbiamo affrontare”. Una riflessione che deriva dall’esperienza quotidiana  a contatto con le nuove generazioni, cui l’insegnante si rivolge con un invito: “Il consiglio che do ai miei figli e ai miei studenti è di non omologarsi, di avere il coraggio di essere impopolari, vivere controcorrente, anche se questo comporta il rischio di soffrire”. L’ultimo pensiero è rivolto ai lettori: “Ognuno possiede una sola chiave per accedere alla realtà, che per sua natura è sfaccettata, sta a noi comprendere il senso del nostro cammino. Vorrei che ognuno cogliesse almeno un aspetto in cui riconoscersi, non ho soluzioni né risposte, solo la speranza di lasciare qualcosa di buono”.

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