29-04-2016 ore 18:34 | Cultura - Storia
di Dino Zanini

Barbarossa concede la ricostruzione di Crema, sabato 30 aprile la rievocazione

Evento da non perdere sabato 30 aprile alle ore 21, in piazza Duomo, intitolato 7 maggio 1185, Federico Barbarossa concede la ricostruzione di Crema. L’appuntamento, ad ingresso libero, è promosso dal gruppo culturale Pagine di storia cremasca ed Amici del museo, col patrocinio del Comune. Relatore don Giuseppe Degli Agosti, voci narranti: Emilia Peletti, Cesare Colosio, Imma Cantoni, regia di Enrico Zucchetti, musiche medievali di Elda Zucchi. Testi e immagini, Luigi Dossena e Dino Zanini. Eccone uno spunto.
 

L’assedio più lungo del medioevo

Mercoledì 28 gennaio 1160, martedì 7 maggio 1185: per 25 anni Crema rimase nell’oblio. I cremaschi si arresero al Barbarossa dopo sette mesi di sanguinoso assedio: “giovedì 2 luglio 1159, mercoledì 28 gennaio 1160”. In verità i primi a cingere d’assedio Crema, in quel luglio del 1159, furono i cremonesi; solamente lunedì 13 luglio 1159 arrivò da Lodi Federico Primo alla testa dei suoi 500 cavalieri teutonici. Quello di Crema fu l’assedio più lungo del medioevo in Europa; gli storici ancor oggi si chiedono come sia stato possibile che un piccolo castrum cum borgo, abbia resistito ad una così potente “macchina da guerra”: l’imperatore con i suoi alleati. In genere le città o si arrendevano senza condizioni o senza combattere oppure le resistenze venivano spazzate via in poco tempo. Il 27 gennaio 1160 il Barbarossa accettò la resa incondizionata dei cremaschi e indicò che entro 24 ore tutti dovevano allontanarsi dall’abitato; Pietro da Terno li fissò in 20.000 persone; i superstiti sfollarono alla spicciolata, caricando quel poco che potevano sulle spalle e inforcando a piedi la pusterla di borgo di Porta Pianengo, presso l’odierna Santa Chiara. Dopodiché con due ondate successive, gli assedianti incominciarono a depredare tutto ciò che potevano.

 

Crema cremata jacet

Al termine della razzia, nei patti stipulati dal Barbarossa con i cremonesi, Crema doveva sparire dalla faccia della terra e così la incendiarono, bruciando anche il Duomo romanico, lasciando intatte bontà loro solo le due chiese extra moenia, quelle della SS. Trinità e di San Benedetto. Intanto Federico con il suo imperial codazzo, composto da principi, baroni, vescovi e cavalieri, saliti a cavallo puntarono su un altro obiettivo da piegare al loro smisurato delirio di onnipotenza. La torre degli ostaggi si trovava presso Porta Ombriano. I cremonesi invece si fermarono ancora per tre giorni in riva al Serio per completare la distruzione del castrum Cremae, che comprendeva il totale livellamento di fosse e fossati, lo sbancamento di terragli e terrapieni e lo smontaggio pezzo per pezzo tutte le opere atte alla difesa.

 

Il disegno politico

Infine anziché riciclare le costosissime e innumerevoli macchine da guerra, le bruciarono ad una ad una, compresa quella alta 40 metri e larga 20 e posta su sei piani, ove erano stati appesi ai primi di dicembre 1160 i 20 ostaggi cremaschi, posizionata presso la odierna piazza Giovanni XXIII. Non era, per onore di verità l’avversione dei cremonesi verso i cremaschi a muovere le forze in campo, bensì un disegno politico precedentemente studiato con lucidità estrema per contrastare la supremazia milanese sullo scacchiere dell’intera pianura padana, supremazia che vedeva frustrate le ambizioni cremonesi con la presenza di un castrum in riva al Serio, che dava forza al capoluogo ambrosiano ed indeboliva in tal modo le ambizioni dei cremonesi. Testo tratto da: 11 febbraio 1185 di Carlo Piastrella. Pubblicazione a cura del Lions Crema Club Host del 2005.

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