25-11-2014 ore 20:17 | Cultura - Incontri
di Stefano Zaninelli

Crema. Elina Chauvet incontra gli alunni del liceo Munari: "le scarpette rosse un modo per rendere pubblico il dolore privato"

“Molti mi chiedono perché utilizzo il colore rosso… Il rosso rappresenta il sangue, la passione ma anche l’amore. Nella vita faccio l’architetto e in questo lavoro il rosso è un colore che stupisce, che non passa inosservato”. Lo ha spiegato Elina Chauvet, questo pomeriggio, agli alunni del liceo artistico Bruno Munari, presentando Zapatos rojos – scarpette rosse, in italiano – iniziativa divenuta simbolo della lotta alla violenza sulle donne.

 

La storia di Elina
“Anche se ora abito da un’altra parte, io vengo da Ciudad Juarez – ha raccontato Elina – forse la più violenta tra le città messicane. Nell’agosto del 2009 ha fatto registrare il più alto tasso di omicidi del mondo, 130 uccisioni ogni 100 mila abitanti, superando addirittura Caracas. In alcuni casi si trattava di giovani donne, dai 16 ai 20 anni”.

 

L’arte come denuncia sociale
“Gli omicidi di mogli e compagne erano moltissimi, ma nessuno ne parlava: chi ci provava – ha proseguito l’artista messicana – veniva ammazzato, giornalisti inclusi. Allora, com’era possibile far sì che la società ne parlasse? Con l’arte, qualcosa che tutti possono vedere, di cui tutti possono discutere. Ho voluto creare un’opera che potesse viaggiare in tutto il mondo, che sapesse far discutere ma che non fosse costosa e a cui chiunque potesse contribuire. Per questi motivi ho pensato alle scarpe da donna: leggere, economiche, che si potessero spostare facilmente perché le mie installazioni non potevano restare nello stesso posto per più di 24 ore”.

 

L’assenza della donna
La scarpa spogliata, vuota, “rappresenta il dolore dell’assenza delle proprie mogli, figlie e sorelle: rappresenta una mancanza”, ha spiegato Elina. L’installazione che l’ha resa celebre in tutto il mondo è stata riproposta anche a in piazza Duomo, a Crema. "Una forma d’arte – secondo Gianni Macalli, docente del Munari – capace di far riflettere in quanto rappresentazione della realtà: l’arte diventa linguaggio comune, è in prima linea con il fruitore”. Ecco il fine ultimo: “rendere pubblico – ha concluso Elina Chauvet – il dolore privato”. 

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