10-10-2017 ore 20:03 | Cultura - Incontri
di Lidia Gallanti

Crema. Pietro Bartolo, le lacrime di sale, il dolore del viaggio, il dovere di essere umani

Chi dal mare arriva a Lampedusa porta sul volto il dolore del viaggio, la gioia dell'approdo. Questi solchi bianchi tracciati sulle guance sono le Lacrime di sale raccolte dal dottor Pietro Bartolo, che nell'omonimo libro racconta la propria esperienza di medico a Lampedusa. "Un'isola a forma di nave, vedete? - dice mentre la indica su una mappa - siamo immersi nel Mediterraneo, il mare nostrum, così lo chiamiamo, perché per i pescatori il mare è tutto". Di fronte a lui, il pubblico raccolto in santa Maria di porta Ripalta ascolta in silenzio il racconto del medico siciliano, figlio di pescatori e da ventisei anni impegnato sul molo della speranza, dove sono approdate oltre 350 mila persone. Parla del lavoro quotidiano a fianco di militari, volontari, medici, in prima linea per fronteggiare l'emergenza umanitaria più imponente del secolo: "Non possiamo più parlare di emergenza, è la realtà che affrontiamo tutti i giorni. Ci chiamano eroi, ma sentirlo mi fa male: facciamo ciò che si può fare, che chiunque dovrebbe fare, qualsiasi cosa pur di fermare ciò che è accaduto fino ad oggi, che accadrà stanotte e domani".

 

Una storia intrecciata ad altre migliaia

Mentre racconta, sulle coste di Lampedusa i soccorsi si sono attivati per trarre in salvo i passeggeri dell'ultimo - ennesimo - gommone naufragato poche ore prima. Otto persone recuperate, chissà quante disperse. Secondo i dati diffusi recentemente dall’agenzia Onu per i rifugiati il numero di sbarchi nel Mediterraneo è quasi dimezzato rispetto al 2016. Tuttavia "spesso dimentichiamo che non si parla di cifre ma di persone. Finché perderemo anche solo una vita in mare non a temo fatto abbastanza". Scorrono le immagini scattate tra il molo e l’ospedale dell’isola siciliana, il medico racconta al pubblico muto e commosso le storie che si sono intrecciate alla sua: volti e mani, il sorriso di chi vive, i sacchi neri che avvolgono il corpo di chi non ha superato l'ultimo viaggio. “Parlare di loro è stato difficile – sussurra – per raccontare le loro storie senza metterli alla berlina. Ho deciso di raccontare anche la mia vita, perché siamo alla pari”.

 

 

La cultura per restare umani

Ad ogni diapositiva scardina luoghi comuni e allarmi sociali: “Quale invasione? Quali epidemie? Siamo vittime di cattiva informazione, vi vogliono spaventare ma non lasciate che questo accada". Questa è la responsabilità cui richiama la politica e i mass media, spesso testimoni distanti: "Siamo un popolo di grande civiltà, per trent'anni ci hanno definito i campioni dell'accoglienza. Questo è l'unico vero virus che deve contagiarci e diventare come uno tsunami". Come ha dimostrato il successo ottenuto dal film Fuocoammare, documentario diretto dal regista Gianfranco Rosi e ispirato all’esperienza del medico di Lampedusa, la cultura gioca un ruolo fondamentale: "Cinema, letteratura, arte, fotografia, sono tutti mezzi straordinari per divulgare la realtà, per ricordare a tutti che non stiamo parlando di numeri ma di uomini, donne, bambini - continua il medico - per ricordarci che il sangue ha lo stesso colore per tutti, per non dimenticare che l’unico dovere che abbiamo è quello di essere umani".

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