07-09-2017 ore 21:23 | Cultura - Mostre
di Diego Meis

Milano. Klimt Experience al Mudec, la Fake Factory e l'imperdibile mostra senza quadri

"Ma come, niente quadri?". La giovane coppia affacciata al bancone della biglietteria osserva perplessa l'addetta allo sportello, che dall'espressione rassegnata pare aver già dato più volte la stessa risposta. Niente tele né cornici, signori: solo una stanza vuota con proiezioni a parete, ad altissima definizione. I due si guardano negli occhi, e con poca convinzione acquistano i biglietti per accedere a Klimt Experience, l'esposizione virtuale allestita al primo piano del Museo delle Culture di Milano, visitabile fino al 7 gennaio 2018.

 

Un nuovo medium

Dopo una prima esperienza dedicata al maestro postimpressionista Vincent Van Gogh, il capoluogo lombardo scommette nuovamente sull'avanguardia multimediale ospitando l’installazione ispirata alle opere dell’eclettico artista viennese. Inaugurato a Firenze ed esportato a Milano a Caserta nel luglio 2017, il progetto è opera di Fake Factory, studio fiorentino fondato nel 2001 da un team di professionisti dell'animazione digitale. La direzione artistica è di Sergio Risaliti, storico e critico d'arte, già curatore di mostre ed eventi multidisciplinari. Il risultato è un prodotto innovativo che rielabora l'arte tradizionale in metodi di fruizione originali ed immersivi pensati per generare meraviglia e stupore.

 

La "non-mostra"

Niente audioguide o dépliant: l'introduzione didascalica alla non-mostra è affidata ad una sintetica serie di pannelli, seguita da un video che tratteggia in pochi minuti il profilo artistico di Gustav Klimt, ritratto e testamento di un'epoca di splendore e declino. Il resto lo dice la citazione del pittore stampata all'ingresso della sala: "Chi vuole sapere di più su di me, osservi attentamente i miei dipinti per rintracciarvi chi sono e cosa voglio". Per immergesi nell’universo di Klimt basta seguire la musica e varcare la soglia. Come un ventre di balena, la stanza accoglie i visitatori in una bolla di suoni e colori. Sulle pareti scorrono fotografie, dipinti, bozzetti e rendering grafici, alternati in sequenze dinamiche. Un elegante valzer viennese accompagna le cartoline della belle époque mitteleuropea nella capitale asburgica: la Vienna dell'opera, dell'impero, dei poteri storici e della borghesia rampante, tesa tra l'istinto di conservazione e il desiderio di un rinnovamento radicale.

 

L'opera d'arte totale

Anticonformista, onirico, erotico, il linguaggio di Klimt sintetizza in forma estetica le pulsioni sociali di un'epoca di fermento artistico e culturale, che trovò la propria sintesi nella cosiddetta "secessione viennese" e nella fondazione del gruppo di artisti figurativi contrapposti ai padri della Künstlerhaus, alla ricerca dell'opera d'arte totale. Un ideale che si compie oggi - cent’anni più tardi - grazie alle nuove tecnologie digitali, in grado di fondere musica, pittura, fotografia, design. L'osservatore diventa parte dell'opera stessa, vi si immerge lasciandosi dipingere dalle emozioni che essa evoca, in linea con quell'espressionismo che sfida e scardina i criteri della razionalità classica.

 

Il limite dell'avanguardia

Il volto di Giuditta, asimmetrico e sensuale, le curve morbide di Danae addormentata, il celebre Bacio, figure e dettagli si segmentano sulle superfici della stanza gremita di visitatori. Le fantasie geometriche e bidimensionali degli abiti si alternano alla nudità bianca delle bellissime modelle e amanti dell’artista, esaltate dalle note di Wagner, Mozart, Lehàr, Orff. Gocce d'oro colano dai fondali proiettati sullo schermo e si disperdono sul pavimento, si trasformano in viticci, serpenti, fiamme, pattern decorativi che sfondano le pareti e le rendono liquide, sconfinano dalle tele e invadono le superfici della stanza, fino a colorare il volto degli spettatori ed accentuare la tavolozza di espressioni suscitate dall’esperienza sensoriale. All'uscita qualcuno chiede se la "vera mostra" sia più avanti, oltre il tendone di velluto appena chiuso alle spalle, dove il carosello d’immagini continua a scorrere su nuovi volti, forse ancora impreparati a questo nuovo linguaggio. Un'arte da assorbire, in cui l'unico scopo è lasciarsi disarmare dalla bellezza.

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