01-11-2017 ore 17:44 | Cultura - Incontri
di Lidia Gallanti

Crema e la poetessa dei Navigli. Ritratto di Alda Merini a otto anni dalla sua scomparsa

“Quando incontri Alda, ti rimane dentro”. Poche parole, solo quelle necessarie. Sufficienti a racchiudere in un pensiero delicato la poetessa dei navigli. Angelo Noce la ricorda così, mentre le mani seminano sul tavolo alcune fotografie in bianco e nero. Era il 1983, il pittore cremasco si trovava nella sua casa-studio di palazzo Donati, in via Marazzi. Con lui, Alda Merini. “L’ho conosciuta in un tempo in cui non viveva ancora il clamore della fama. Negli anni Ottanta gli artisti erano soliti frequentare gli stessi ambienti, ma io mi ci imbattei per caso. O per destino”.

 

Una poesia e sedici lettere
Tutto inizia da una poesia pubblicata su una rivista d’arte e intitolata Io voglio stare sola. “Fu un colpo di fulmine, decisi di conoscerla”, racconta Noce (foto a destra). “Andai a Milano, in via San Paolo, dove il direttore di quella rivista aveva una galleria d’arte. Non ricordo se lo trovai, ma ricordo che mi recai in un colorificio vicino per prendere del materiale di lavoro”. In vetrina c’era un quaderno arancio con un titolo scritto in matita, Poeti e rivoluzione. E in alto una firma, Alda Merini. “Entrai per chiedere il libro e conobbi Ezio, il fratello della poetessa, che lavorava in negozio. Mi diede il suo numero, la chiamai più volte senza successo. Così decisi di scriverle per raccontare questo incontro”. Inizia così un rapporto epistolare lungo cinque anni e sedici lettere, fino al primo incontro in un bar di Milano. “Non conoscevo il suo aspetto, ma non potevo sbagliare: la trovai seduta ad un tavolino, di fronte aveva due tazze di caffè e una manciata di fogli sparsi ovunque”.

 

Stella in un labirinto esistenziale

“A quel tempo Alda era una stella in un labirinto esistenziale”, racconta il pittore cremasco sfogliando alcuni scritti autografi battuti a macchina. Schiva e genuina, la poetessa non parlava mai apertamente delle sofferenze maturate nei primi quarant’anni di vita, spesso sublimate in versi. “Di fronte a un dolore ricevuto si hanno due opportunità, esserne vittima o trasformarlo. Per lei la poesia era un dono, una consegna che si traduceva attraverso la parola”. Nel 1983 l’autrice partecipa a Spazi di-versi, evento culturale cremasco a cura del comitato per l’utilizzo dell’area degli Stalloni, documentato dal periodico locale Punto a capo e rirpeso nel libro Fuori dal Coro(2015). “All'epoca era ancora una poetessa sommersa, ma il momento condiviso al centro culturale sant’Agostino fu straordinario. Lei arrivò con una sporta di poesie stampate su fogli alla rinfusa. Leggeva bene, con toni costanti e melodiosi, aveva la voce di un violoncello. Era libera di dire.”

 

La poetessa innamorata
Alda Merini fu spesso ospite cremasca, anche quando le prime interviste al Maurizio Costanzo Show l’avevano ormai consacrata al mondo della cultura popolare. “Nei suoi modi non c’era autocompiacimento, era molto ironica, estroversa, con una genialità istintiva diversa dai grandi intellettuali dell’epoca”.  Il racconto prosegue con le parole del medico cremasco Simone Bandirali (foto a destra) poeta e amico di Alda, che dal '92 al '99 ne cura le pubblicazioni: “L’ho incontrata il 6 febbraio del 1992. Con l’editore Alberto Casiraghi le ho fatto visita nella sua tana dei navigli, in via ripa Ticinese 47.  La casa era sempre in tremendo disordine, ma quello era il suo mondo”. Figlia di un’epoca connotata da fascismo e cristianesimo, Alda vive le contraddizioni dell’essere donna: “come emerge dalla sua fase mistica concepiva la religione a modo suo, quasi fosse un’astrazione dei dolori di donna e madre”. Una costante che alimenta la sua produzione e la sua profondità, spesso appiattita dall’opinione popolare: “Per molti era solo la poetessa matta - sospira Bandirali – lei si definiva semplicemente poetessa d’amore. Ripeteva: se non sono innamorata come faccio a scrivere?"

 

Il suo corpo, la sua poesia

Una vita controcorrente, fatta di parole consumate tra le dita e le labbra, come una delle sue inseparabili sigarette. “Alda ci lascia il suo corpo, la sua poesia. Ha detto tutto ciò che si poteva dire, era l’avanguardia stessa, la sua opera fa eco ancora oggi, otto anni dopo la sua scomparsa”. Angelo Noce raccoglie le istantanee in una busta, che ripone in un quaderno arancio con la copertina scribacchiata in matita. Sull’angolo di destra l’autografo della poetessa. Una traccia sbiadita come il tempo, incancellabile come i suoi versi. Come la sua vita.

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